Il Caffè

Il Morini 3 e 1/2 era li, parcheggiato come sempre davanti l’uscita dell’ufficio. Lui cominciò a chiudere i bottoni della sua Barbour ed usci. Guardò un attimo l cielo, un gesto quasi automatico per un motociclista che si muove con ogni tempo, un gesto che in realtà  era anche un ringraziamento per essere finalmente uscito.

Tirò un lungo respiro che buttò fuori tutta la noia,  il fastidio per le molte meschinità che vedeva tra i colleghi, cose che non lo riguardavano direttamente, ma dal quale si sentiva totalmente estraneo. Dinamiche di invidia e risentimenti, storie d’amore finite male, complicità di amanti clandestini e lotte di potere.

Lui era fuori da tutto ciò, ed anche per questo i colleghi lo consideravano un tipo strano, uno che girava sempre in moto, gentile con tutti, con l’aria da sognatore e il sorriso aperto.

Aveva solo qualche volta uno sguardo malinconico che gli altri non interpretavano, la sua nostalgia per i sogni giovanili di armonia e fratellanza, di un mondo diverso, quei sogni che si infrangono nel contatto con la vita vera, quella del lavoro. L’era che ti porta via dall’età dei diritti – quando qualcuno provvede comunque a te – e ti porta a quella dei doveri, quando capisci che nulla è regalato, che essere giovane non vale niente,  che conta solo svolgere il compitino che ti sarà assegnato e che il futuro sarà duro, perché il mondo è fatto veramente a questo modo.

Nonostante ciò, gli bastava uscire dall’ufficio e salire sulla sua moto per essere felice. Anche quella volta era così.

I colleghi lo guardavano incuriositi, chiedendosi spesso – soprattutto nei giorni di pioggia – perché non comprasse una macchina, e glielo avevano spesso detto.

lo guardavano prepararsi, mettere casco e guanti, tirare fuori le chiavi, agire sulla pedivella e mettere in moto il suo Morini, quasi sempre al primo colpo.

Li aveva tutti alle spalle quando il capufficio esordì: “Scommetto un caffè che non parte subito”.

Lui si voltò lentamente, vide gli sguardi ironici dei colleghi e disse. “va bene, lo pago a tutti, se non parte”.

La cosa gli era uscita di getto e quasi subito se ne pentì, non certo per la paura di pagare una quindicina di caffè, ma per gli sguardi che lo attorniavano. Non voleva dare soddisfazione a quella gente che lo guardava con ironia.

Finì le operazioni di vestizione, mise le chiavi dell’accensione in un tempo che sembrò lunghissimo. Si era creato un silenzio surreale, ma gli sguardi erano sempre ironici.

Apri la pedivella e la spinse leggermente per favorire l’aspirazione del motore. Era importante sentire passare il punto morto superiore di un cilindro, e il punto morto inferiore dell’altro, fino a portarne uno in perfetta compressione. Che la forza bruta e liberatoria di quel cavallo di acciaio fosse pronta a sprigionarsi, a sputare in faccia a quella gente la propria ipocrisia. Puntò i palmi delle mani sulle manopole, poggiando leggermente il peso su quella destra del gas, che non andava aperto, ma tenuto in tensione, affinché le ghigliottine dei carburatori fossero pronte, come lame nei foderi prima di una battaglia.

Spinse con il piede a terra e con entrambe le braccia verso il cielo e quando fu nel punto più alto concesso dalla spinta – e nello stesso momento in cui la forza di gravità lo richiamò alla madre terrò – calciò con l’altro piede con forza.

Il motore però non partì.

Si mise di fronte ai colleghi sghignazzanti e disse: “Va bene, domani faccio arrivare i caffè.

Mentre tutti si dileguavano per tornare alle proprie case, alla propria vita fatta di piccole e melense certezze, riprese le stesse operazioni. Un colpetto sulla pedivella per portare il motore in compressione, la spinta verso l’alto e magicamente il Morini si avviò immediatamente.

“Maledetto” disse dentro di se prima di innestare la marcia.

Ma bastarono pochi momenti per ritrovare la gioia e chiedere scusa alla sua moto.

Che importava aver perso la scommessa, cosa importava se non era partita al primo colpo, era comunque partita.  Solo quello contava. Stava volando a bassa quota con il suo Spitfire, stava cavalcando con il suo mustang nella prateria, era con il suo surf sopra un’enorme onda, e si sentiva libero, libero anche da una stupida scommessa.

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