La minuteria e i tempi in cui si spendeva senza troppi problemi

di Kiddo

Uno degli elementi più importanti, se si parla di affezionarsi alla propria moto, è senza dubbio il servizio post vendita.

La possibilità di non doversi sobbarcare tanti chilometri per portare il ferro a fare un tagliando, la disponibilità di ricambi o l’abilità del personale di una concessionaria possono influenzare notevolmente non solo l’acquisto ma anche la fidelizzazione ad un Marchio o ad un modello.
Per questo, racconterò un episodio che mi è successo una quindicina di anni fa e che incrinò profondamente il mio “sentire” il mio meccanico di fiducia come un vero e proprio dispensatore di autentiche Verità, perché mise in discussione il rapporto di stima che avevo per lui.
Ovviamente non dirò di quale Casa motociclistica sto parlando, né tantomeno in quale concessionaria della mia città si verificò l’episodio, anche se sono sicuro che molti concittadini potranno intuirlo da soli.
Il periodo è la fine degli anni ’90, quindi profondamente diverso dall’attuale, in cui quasi nessuna persona che lavora si può permettere di spendere tranquillamente e con disinvoltura per una passione come la motocicletta.
Portavo la moto a tagliandare regolarmente ogni 10.000 chilometri, e facevo cambiare in concessionaria anche le gomme. Roba da brividi, a pensarci oggi, che le gomme si va a cercarle usate fuori dalle piste o in interminabili maratone notturne su internet.
Compravamo abbigliamento e protezioni tecniche del Marchio, benché carissime anche per l’epoca, fiduciosi in una indubbia superiore qualità e durata, anche perché per una coppia appena sposata come eravamo io e mia moglie ogni fine settimana, ogni giorno di vacanza, significava qualche bella girata in moto!
Portai allo scoccare dei 40.000, così la moto a fare il tagliando; ed ero abituato a spendere, al ritiro, cifre importanti. Ricordo ancora che il salasso fu notevole: fra oli, filtri, gomme e altro, fra cui una mano d’opera incredibilmente a peso d’oro, spesi più di 800.000 lire. Per capirci, era la stessa cifra che costava un casco modulare del Marchio, assolutamente all’avanguardia per il periodo, il primo che si poteva aprire con una mano sola. Ma ripeto, eravamo tranquilli che, data l’affidabilità del mezzo e la fiducia nell’officina della concessionaria, non avremmo avuto nessun tipo di problema o di spesa per i prossimi 10.000 chilometri.
Riprendemmo così la moto ma, al momento di metterci il casco, mi accorsi che mancava una piccola vite a brugola della marmitta. Rientrai in officina e chiesi se avessero qualcosa da metterci. Il capo officina mi portò in magazzino, aprì degli esplosi al computer e trovò in due secondi la vitolina esatta, cosa che non mancò di suscitare la mia ammirazione.
Sparì mezzo minuto dietro gli scaffali, portandomi a topino morto la bustina con la vite. Ringraziai, e non volendo offendere con la ridicola richiesta di quanto spendessi (considerato anche il salasso di pochi minuti prima) il mio gesto con il palmo della mano aperta alzata e rivolta verso di lui fu come a significare “grazie, facciamo i conti alla prossima..”; il gesto con la mano del capo officina fu invece quello simile, ma con il palmo della mano che imita il frenare ripetuto brevemente due volte e che significa “aspetta”!
Aprì un’altra pagina del computer e sentenziò, mentre inviava un meccanico a installare nel modo corretto la vite: “sono 4.000 lire”.
Ovviamente non mi scomposi, pagai quello che dovevo e uscii dall’officina salutando.
Però l’episodio, benché minimo e all’apparenza insignificante, cambiò radicalmente il mio modo di pensare al concessionario e di conseguenza al Marchio in questione. Mi ero sentito non più come un privilegiato che ha da spendere per qualcosa di bello e che merita tutta la mia fiducia, ma come un pollo da spennare.

Se la sola cosa che ti interessa di me e della mia passione è la mia capacità di spendere, allora non credo più che tu mi stia offrendo un servizio ineccepibile benché costoso o che tu venda un oggetto migliore di altri. Se sono un limone da spremere allora comincerò a cercare difetti in quello che compro, e a meno di una miopia patologica ne troverò senz’altro, e comincerò a chiedermi se il prezzo che pago vale davvero la differenza di qualità.
Ovviamente non fu quell’episodio di minuteria a farmi vendere la moto in questione. La vita quando si ha trent’anni cambia radicalmente a volte in pochi mesi, e la nostra moto per viaggiare in coppia fu sostituita con altre, perlopiù per fare il cretino da solo o con gli amici nei rari momenti di libertà fra un pannolino merdoso e un altro.
Fu così al momento di ritirare un’altra moto da un altro concessionario dopo un tagliando, qualche anno dopo l’episodio della brugola che mi trovai in una situazione identica.

Feci presente la mancanza ad un meccanico che si mise a razzolare con un dito dentro una scatolina di cartone, estraendone infine una vite uguale alla mancante. La presi, insieme alla chiave, e andai ad avvitarmela alla griglia dello scarico da dove era scappata la compagna.
Tornando a riportare la chiave chiesi al mecca: “cosa ti devo?”
lui rispose “che mi prendi per il culo?”.
“Va bene, vai, che ci sei domenica si va verso Volterra?”
“Si vai, alle 9 al Piazzale Michelangelo!”

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