Ragusa, il set più amato dal Commissario Montalbano (Parte 3)

Siamo giunti ormai alla fine del nostro viaggio in Sicilia, dove Ragusa insieme al Commissario Montalbano è la protagonista.

L’estate è decisamente esplosa e la temperatura si fa rovente a Ragusa, oggi il commissario Montalbano indaga su un cadavere che viene ritrovato nei pressi di un porto. Noi invece troviamo temperature da altoforno appena mitigate da una colazione a base di granita (ma va?) e brioche. Con la sensazione di un phon puntato in faccia, di buon’ora decidiamo di andare a vedere cosa è successo e puntiamo verso il siracusano, ma costeggiando di nuovo la costa sud dell’isola in cerca di fresco. Da Ragusa scendiamo verso Modica percorrendo la strada vecchia sul lato opposto dell’altipiano, decisamente più appagante per le nostre gomme e con tanto di attraversamento rotaie tipo Imatra, e poi sulla veloce ss 194 fino a Pozzallo. E’ terra di frontiera, non ci si pensa ma la Sicilia è anche questo, da qui partono i traghetti per Malta, ma le cronache riportano anche di frequenti sbarchi di profughi. Siamo a latitudini più a sud di Tunisi o Algeri, e se si traccia una ideale linea retta verso il basso si incontra Tripoli.

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Oltrepassiamo Pozzallo, che comunque si presenta ridente e viva sia turisticamente sia come borgo marinaro a 360 gradi, e proseguiamo verso Pachino, non prima di un tuffo nelle acque cristalline di una delle calette di Punta Cirica, uno di quei luoghi in cui l’abbraccio del mare riconcilia con la vita e dove il commissario Montalbano si reca ne “La caccia al tesoro”. Il tempo di asciugarci e ripartiamo, poco più avanti la cartellonistica stradale che pubblicizza una miriade di aziende agricole produttrici del famoso datterino ci informa che siamo entrati nella patria dell’omonimo pomodorino. Pachino, va detto, è un luogo disperato, ci districhiamo tra le innumerevoli serre e proseguiamo verso Porto Palo di Capo Passero prima, e Marzamemi poi, ed è lì che incontriamo il commissario Montalbano in “Le ali della Sfinge”.

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Marzamemi è un antico borgo di pescatori, la vecchia tonnara rappresentava un tempo l’unica fonte di sostentamento della popolazione. Oggi è meta di turismo di massa, locali più o meno modaioli occupano ogni spazio o anfratto di quelle che erano rimesse di barche o di attrezzi, gli onnipresenti tavolini che occupano i vicoli tolgono poesia, ma l’amplissima piazza mantiene intatto un fascino unico. Ci gustiamo sgombri agli agrumi e, indovina, una granita ai fichi in un bel locale tipo bookstore che offre anche interessanti letture intanto che il nostro amato commissario segue le tracce di un malavitoso nascosto negli anfratti del luogo, dopodiché decidiamo di seguire il consiglio di una coppia di motociclisti che ci indica una caratteristica spiaggia distante una decina di km: Calamosche.
La si raggiunge prendendo la sp 19 in direzione Noto e una volta oltrepassato l’ingresso all’oasi faunistica di Vendìcari si rallenta in cerca di uno stradello sterrato sulla destra, indicato semplicemente con una scritta a spray verde sul muro. Un paio di polverosissimi km, che non rappresentano certo un problema per il nostro bel Giessone, e si arriva al parcheggio, coperto per le moto e adiacente a un punto di ristoro. Pronti per il bagno? No, perché per arrivare alla spiaggia servono ancora altrettanti km, stavolta a piedi lungo un sentiero. Ecco, diciamo che aver scelto di percorrerlo sotto il sole a picco delle 2 del pomeriggio di una delle giornate più torride dell’anno non è stata un’idea particolarmente felice. Diciamo anche che essendo domenica la speranza di trovarci su una specie di atollo deserto è andata delusa. Ma l’acqua limpida come solo in Laguna Blu e ferma come solo in una piscina, la sabbia finissima, i fondali da cartolina, ci hanno senz’altro ripagati della fatica, anche se a onor del vero di spiagge simili con in più la possibilità di parcheggiare la moto praticamente sull’asciugamano è piena la Sicilia.

Riprendiamo la via del ritorno prima del tramonto e cerchiamo la strada per Ispica orientandoci volutamente a lume di naso tra mille rivoli di strade secondarie, spesso verso il nulla, o sentieri vicinali, le “trazzere”, che uniscono le varie masserie. E’ una dimensione che ci è sempre piaciuta quella di esplorare territori un po’ a casaccio, e il sornione bicilindrico boxer è un eccellente compagno di avventura anche dove l’asfalto finisce. Unica nota dolente le colonne di fumo che si alzano in lontananza e i Canadair impegnati a combattere la piaga degli incendi, quasi sempre dolosi.

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Prima che il sole sparisca dietro le colline raggiungiamo il commissario Montalbano nella bellissima piazza con loggiato di Santa Maria Maggiore a Ispica, teatro de “La luna di carta”, quindi lo seguiamo fino a casa sua a Marinella, stavolta nella location di Donnalucata, paesello dal nome bellissimo (di origini arabe, vuol dire “fonte di acqua dolce”) a metà strada tra Sampieri e Marina di Ragusa, che nella fiction è usato come residenza del commissario al pari di Punta Secca, e che si fa ammirare per le spiagge e il caratteristico lungomare. E’ lì che la bella Ingrid arriva sgommando col suo bel macchinone rosso, ricordate?

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Ragusa, il set più amato dal Commissario Montalbano

Così come per Marinella, anche i luoghi immaginari di Vigata e Montelusa sono nella realtà frammentati ed estesi in una vasta area di luoghi reali. Scicli, Modica, Ispica, ma soprattutto le due parti storiche di Ragusa: Ragusa Superiore è un reticolato di incroci ad angolo retto dove le strade si somigliano tutte e orientarsi non è immediato. Scendendo da Corso Italia, la lunga via principale, si entra a Ragusa Ibla, la città vecchia dove case fatiscenti e sontuosi palazzi offrono un colpo d’occhio unico al mondo mescolando decadenza e ricca borghesia, e dove la cattedrale di San Giovanni da una parte e il Duomo dedicato a San Giorgio dall’altra (assolutamente fantastica la prospettiva dell’intera piazza) si contendono il primato della maestosità, oltre a fare da sfondo a numerose vicende del commissario Montalbano.

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Ragusa, il set più amato dal Commissario Montalbano

Ci vogliono fiato e buone gambe per esplorare a piedi o in bici Ragusa Ibla, noi lo abbiamo fatto in una fantastica notte perdendoci nello spettacolare dedalo di vicoli, scale e saliscendi che pare una via di mezzo tra il labirinto della biblioteca de “Il nome della Rosa” e il famoso “Relatività” di M.C. Escher. Ogni terrazzino, ogni scorcio, ogni passo, la città si apre in una prospettiva nuova e diversa, camminiamo estasiati dentro a un presepio. Bellissimo.

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La mattina seguente siamo in cerca di tracce e le troviamo nel bel palazzo delle Poste immortalato ne “La forma dell’acqua”, quando siamo attratti da strani movimenti in via Rapisardi, giusto di fronte alla Prefettura. “Bah, staranno girando qualche episodio di Montalbano” – pensiamo ridacchiando -, ci avviciniamo e… stanno davvero girando un episodio di Montalbano! Luca Zingaretti e Cesare “Mimì Augello” Bocci stanno girando una scena nell’androne di un palazzo. La coincidenza è notevole, un po’ come andare a visitare gli Abbey Road Studios a Londra e incontrare Paul McCartney di fronte al cancello (ci è capitato davvero!). Ci sono pochi curiosi, sfoderiamo la nostra faccia di sòla e chiediamo alla troupe se ci fanno fare una comparsata in moto. Certo, come no, aspettavano proprio noi! Ovviamente il set è inavvicinabile e non appena estraiamo la digitale veniamo pure allontanati come studenti beccati a copiare. Allora ci appostiamo defilati, mani dietro la schiena modello pensionati ai cantieri, e quando vediamo i due attori prendersi una pausa in pasticceria li seguiamo, sul serio questa volta. E rischiando che l’ispettore Fazio ci arresti per stalking riusciamo a strappare un selfie come da vituperata tradizione e vergognandoci come ladri. Però che soddisfazione!

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Ragusa, il set più amato dal Commissario Montalbano – il Castello di Donnafugata.

Pare che negli anni ‘70/’80 sulla scia della saga de Il Padrino, la cittadina di Corleone abbia registrato un picco di flussi turistici. Oggi il turismo legato alla mafia cinematografica si è spostato al Castello di Donnafugata, antica dimora nobiliare dei primi dell’Ottocento, che in vari episodi risulta essere la splendida residenza del boss Balduccio Sinagra, ormai ritiratosi a vita privata e col quale il commissario Montalbano si trova spesso a doversi confrontare. Visitabile tutti i giorni (escluso il lunedì) dalle 9 alle 12,45 (martedì sabato e domenica anche dalle 14,45 alle 17.15) è circondata da un bellissimo parco che comprende anche un labirinto di pietra, dove ne “La gita a Tindari” i coniugi Griffo vengono trovati uccisi.

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Ragusa, il set più amato dal Commissario Montalbano – il Castello di Donnafugata.

Per raggiungere Donnafugata da Ragusa decidiamo di allungare passando prima da Comiso. Da via delle Americhe, periferia ovest, usciamo dalla città, il caldo è soffocante e confessiamo che nonostante nel bagaglio avessimo stivali e pantaloni con protezioni, questo è uno di quei giorni in cui ci mettiamo colpevolmente alla guida con scarpe e calzoni leggeri. Non proprio politically correct, ma adesso possiamo sfoggiare ginocchia abbronzatissime.
La strada si presenta dritta e stretta come al solito, quando senza preavviso comincia a scendere e di fronte ai nostri occhi si apre un panorama incredibile che spazia da Vittoria al mare, fino addirittura all’Etna nelle giornate più chiare. Per qualche chilometro la sensazione è quella di stare su un deltaplano, e si viene presi dal dubbio se spegnere il motore per ascoltare solo il vento o se dare gas per divertirsi su dei bei tornanti dall’asfalto nero nero.

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A Comiso, guidando con attenzione sul liscissimo lastricato di “balate” delle strade del centro, visitiamo il loggiato dell’ex mercato ittico e ammiriamo la bella facciata di Santa Maria delle Stelle, il commissario è lì che sta svolgendo indagini ne “Gli arancini di Montalbano”.

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E qui il titolo di quell’episodio ci invita ad aprire una parentesi dedicata alla gastronomia siciliana, quella senza stelle, accessibile ovunque e a chiunque.
Gli arancini – o arancine, la disputa è aperta – sono una specie di grosse polpette di riso, impanate e fritte, ripiene di qualsiasi cosa stuzzichi la fantasia del cuoco. Quelli classici sono al ragù di carne con piselli, noi ne abbiamo assaggiati di spettacolari alla caponata di verdure spruzzata con cioccolato piccante di Modica (alla “Grotta”, in via Cartia a Ragusa Superiore). E come non parlare dei mitici cannoli? Da queste parti la sfoglia, sul cui tipo di impasto le varie fazioni potrebbero discutere per ore, viene riempita al momento con ricotta vaccina lavorata con zucchero a velo e a volte cannella, e poi guarnita con granella di pistacchi, nocciole, o scorze di arance candite. Una delle sensazioni più goduriose che abbiamo mai provato. Da vestiti.
Se invece volete sedervi ai tavoli in una bella piazzetta a due passi dal duomo di San Giorgio, sempre a Ragusa, andate in largo Camerina ed entrate a “La Bettola” (meglio prenotare che è piccola). Noi siamo stati attratti dalle tovaglie a quadrettoni rossi e dalla lavagnetta col menu del giorno, oltre che dalla disponibilità e cortesia del personale. Niente chef stellati, ma un rapporto qualità prezzo imbattibile.
Più serioso ma sempre alla mano, in piazza dei Cappuccini c’è La Taverna del Lupo, dove consigliamo spaghetti alla donnalucatese, da spolverare con abbondante… pan grattato.
Sulle granite ci sarebbe da scrivere un trattato, dense, rinfrescanti, gioiose, le troverete ovunque e a qualsiasi ora del giorno dalla prima colazione al dessert dopo cena, immancabilmente accompagnate da una tipica brioche locale. Oltre ai classici gusti alla frutta di stagione noi le consigliamo al gusto di mandorle, pistacchi, caffè (con panna), ma soprattutto ai gelsi (rossi o neri, meglio ancora se cremolata).
Tra l’altro da queste parti hanno un concetto molto ampio delle porzioni, dei condimenti, e anche della farcitura dei dolci. Se non ci credete andate a far colazione alla pasticceria Malandrino in via delle Americhe e prendete per esempio delle sfoglie ricotta e gianduia o l’incredibile “macallè”, una specie di megabombolone  di pasta dolce fritta, grande quanto un cuscino e ripiena di crema chantilly o di ricotta. Però addentatele con attenzione, perché oltre a dover rifare una doccia rischiate anche di dover reimbiancare le pareti del locale!
Come sia possibile che l’intera popolazione sicula non sia obesa è un mistero.

Siamo arrivati alla fine della nostra permanenza sull’isola, per la nostra ultima tappa decidiamo di concederci un’imperdibile sosta a Siracusa. E’ una città splendida, l’abbagliante amplissima piazza del Duomo toglie il fiato da quant’è bella, il porto e il lungomare danno respiro, solo l’isola di Ortigia ci è parsa invasa da tanti, troppi negozi di souvenir dall’aspetto non sempre genuino, cosa che per esempio non esiste o quasi nella “nostra” Ragusa.

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Da Siracusa risaliamo attraversando più veloci della luce tutta la zona industriale costellata di raffinerie intorno Augusta, e ci fermiamo a Brucoli, piccola frazione appoggiata su una profonda insenatura dove incontriamo per l’ultima volta il commissario Montalbano, lì alle prese con l’omicidio di un pescatore. Prima di congedarci decidiamo di chiudere in bellezza e ci facciamo un ultimo tuffo in queste acque cristalline; sullo sfondo l’Etna, maestoso, ci sta aspettando per chiudere il cerchio del tour che ci ha portati a conoscere questa terra, questi suoni, questi odori e sapori, che ci hanno stregati.
E che già, come un canto di sirene, ci invitano a tornare.

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Grazie a BMW Motorrad Italia

Dove alloggiare:
Casa Vacanze Volte di Pietra, via Roma 23, Ragusa

Dove mangiare:
Ristorante La Bettola, Largo Camerina 7, Ragusa
Ristorante La Taverna del Lupo, piazza dei Cappuccini 22, Ragusa
La Grotta, sicilian finger food, via G. Cartia 8, Ragusa
Pasticceria Malandrino, viale delle Americhe 216, Ragusa
Antica Dolceria Bonajuto, corso Umberto 159, Modica
Ristorante da Enzo a Mare, lungomare A. Vespucci, loc. Punta Secca, Santa Croce Camerina

 

Testo e foto: Francesco Corsini

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