Valentino Rossi, Bjorn Borg, Sting e la vita oltre il successo

La conferenza stampa di abbandono delle competizioni da parte di Valentino Rossi, apre un quesito di difficile soluzione.

Quand’è il momento migliore per uscire di scena? O meglio, per smettere di fare una cosa in cui sei (stato) il migliore? Eh bella domanda, e chi lo sa? Prendete Stoner, uno che non sopportava impegni, promozioni, interviste e tutto il cucuzzaro che fa da contorno alle gare. Lui voleva dare gas e basta, a un certo punto non ne ha potuto più di farsi scartavetrare i testicoli fuori dal nastro di asfalto e ha preferito rinunciare a un ingaggio da 30 milioni di dollari pur di poter andare a pescare e poi tornare a casa la sera a godersi moglie e figlia. E’ anche per questo che i ducatisti ancora baciano in lacrime i suoi santini.

Più o meno la stessa cosa successe a Bjorn Borg, che alla stessa età, ventisette anni, si ritrovò consumato nel fisico e nello spirito. Solo che poi lui finì di consumarsi anche fuori dalla terra battuta con scelte discutibili.

Ago, il grande Ago, quando si accorse che Sheene e Roberts ne avevano di più provò a raddoppiare il numero delle ruote, ma con scarsi risultati. Il suo più grande rivale invece, Mike the Bike, non solo vinse un titolo in Formula2, ma quando rimise il culo su una moto rivinse pure il Tourist Trophy.

Ma anche fuori dallo sport si trovano analogie. Da queste parti c’è una tenuta agricola dove si produce tutto ciò che di buono offre la Toscana, e dalla quale in certe sere d’estate si sentono arrivare note famose: è quella di Sting, che accantonata l’esperienza dei Police ha deciso di mettersi a produrre olio e vino, e recentemente anche a servire pizze. Altri suoi colleghi invece, incuranti dell’anagrafe, continuano a fare i ragazzacci, a pestare riff in 4/4, e, pandemia permettendo, a riempire stadi. “Perché lo fate?” “Perché ci divertiamo!”

Ecco, divertirsi era anche il credo di Valentino Rossi. Ed è facile oggi dire “ah io al suo posto avrei mandato tutti a fanculo dopo lo scippo del 2015”. Lui nel decimo titolo ci sperava, ci ha provato in tutti i modi, anche con rabbia, a dispetto del tempo inesorabile, degli avversari sempre più forti, e di una tecnologia che forse livella le prestazioni verso il basso. Non c’è riuscito, ma checché ne dicano i tanti detrattori, questo non toglie nulla alla sua immensa grandezza. Finisce la storia e inizia il mito. A prescindere. Proprio come per tutti gli altri citati sopra.

Ma cosa si può dire oggi di una Leggenda che non sia stata già detta? Per quel che ci riguarda due cose: primo, che per degli strani processi mentali ci troviamo a ricordarci esattamente dove eravamo e cosa facevamo durante la prima e l’ultima vittoria di Valentino Rossi (in un bar durante un motoraduno in Emilia e in un altro bar di ritorno da una spiaggia in Sicilia). Secondo, che abbiamo un sogno: che da qui a fine stagione possa vincere ancora. Mica per altro, ma così gli si riscombussolano tutti i programmi, a lui e soprattutto agli altri.

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