Site icon Moto On The Road | viaggi in moto, avventure in moto, turismo in moto

Un lungo viaggio in moto che parte dall’India e arriva in Italia – Prima parte

Ritorno in India, dopo 15 anni, seguendo un itinerario affascinante, che da Delhi porta fino a Spiti Valley

testo e foto di Giampiero Pagliochini

[wp_geo_map]

India, dopo 15 anni mi ritrovo dove mi ero arenato in un precedente viaggio: il Carnet de Passage! Non mi si dice che non basta l’originale, ma che vogliono una dichiarazione dell’Automobil Club India che attesti la copertura di garanzia. Sono passati gli anni e non è cambiato nulla, se non un po’ più di gentilezza.

In sella a un motorino, faccio spola con la dogana; vengo ricevuto anche dal presidente del Club che mi dice di non pagare nulla. “Sfondi una porta aperta, amico”. Ma siccome non credo che avrò fortuna, con una sua dichiarazione chiamo ACI delegazione nazionale e l’addetta, la Sig.ra Grillo, mi viene incontro e replica ad una mail confermando la garanzia. Ce l’ho fatta!

Piove e sotto gli sguardi increduli degli indiani che mi osservano, tolgo la copertura alla cassa. Guardano sto matto che, tirando fuori 4 chiavi e poco altro, rimonta la moto. Il top arriva quando tiro fuori il compressore elettrico per rigonfiare gli pneumatici che in aereo avevo sgonfiato.

In albergo preparo tutto, non voglio perdere ulteriore tempo. Al mattina presto, prima che tutti si riversino in strada, punto verso Agra. Devo dire che mi ricordavo un’altra India dal punto di vista stradale, ora ci sono anche 4 corsie. Quello che trovo immutato, è invece il modo di guidare di questo popolo. Non hanno il senso della misura, te li trovi anche contromano, ed ecco che il clacson, resta l’unico deterrente.

Dici Agra e non puoi che dire Taj Mahal il simbolo dell’India nel mondo. Grazie a internet il giorno prima ho prenotato, a due passi dalla porta sud, un albergo alla modica cifra di 12€ a notte, garage compreso. Arrivo presto e ho modo di entrare nel monumento. Domani, venerdì, è chiuso, essendo annesso alla moschea. La cosa che mi stupisce è che l’India dal punto di vista religioso dà l’idea di aver messo tutti d’accordo, questa è la mia riflessione.

Una foto al Forte e via si torna verso Delhi, la supero, ma che fatica, mi fermo per respirare, e allora si che viene il bello. La kappona non lascia indifferenti nemmeno gli anziani, vogliono sapere tutto, e quando gli dico il costo inizia un esercizio di calcolo non da poco.

Andando verso nord si sale, puntualmente piove fino a Shimla dove ha inizio un percorso per delle valli incontaminate, una parte del Tibet che gli indiani stanno promuovendo turisticamente. Ho idea, avendo visitato la Cina, che gli indiani abbiano visto lungo: se i cinesi hanno voluto cambiare i connotati al Tibet qui tutto sa ancora di antico, di una cultura radicata, un valore turisticamente forte. Dormo a Sarahan, da qui inizia un itinerario attraverso i Gompa buddhista, un percorso stradale procede più sa di off-road.

Ho sempre affermato che i cinesi hanno preso il Tibet non per un fattore di religione, ma per altro, a mio avviso per l’acqua. Qui i fiumi sono prorompenti, la catena himalayana annovera le vette più alte del mondo, le vallate sono tutto un cantiere in corso d’opera, migliaia di megawatt di energia sottratti alla forza delle acque. Motociclisticamente parlando è tutto fuoristrada, a tratti è dura per la stazza della moto, nulla a che vedere con i tanti occidentali in sella alle Enfield, anche perché non metto mai in conto di non essere più un ragazzino.

La strada è interrotta per una frana, ci vorrà tutta una nottata per riattivare la viabilità, dormo a Reckeng Peo dove prendo anche il permesso per visitare la vallata, una sorta di biglietto stradale.

Mi sveglio di buon mattino, proseguo per una via alternativa e subito mi rendo conto che sarà dura: la strada – se così si può chiamare – non è altro che un sentiero, dove si passa uno alla volta. Sembra l’intero mondo sia qua, vista l’interruzione a fondo valle. E’ uno “stop and go” continuo, infinito, snervante, poi, per fortuna, si rendono conto che ho 2 ruote e mi fanno passare. Dopo 2 ore e mezza ho percorso 30 km, che media!

Ripresa la main road, come la chiamano qui, proseguo tra guadi e fondo sconnesso. Per fortuna la dotazione della kappa aiuta e non poco. Mi avvicino al confine cinese, 15 km mi separano dalla frontiera e decido di sostare a Nako. La vicinanza ad un Gompa buddista ha fatto si che il luogo si stia sviluppando a velocità della luce, e incredibile c’è un caffè internet addirittura con windows 8. Magie della tecnologia, anche se poi ti guardi intorno e noti una vita primordiale. Alle 21 tutti a nanna.

Oggi ho intenzione di fare parecchi chilometri e alle 7 di mattina sono in strada. Ma dopo appena 7 km lo sconforto: un mezzo pesante si è piantato in uno dei tanti fiumi che si creano con l’acqua che scende dai ghiacciai. Prendo le misure ma non ci passo. Passano quattro ore prima di riuscire a procedere, ci sono altri con le Enfield, che mi dicono: “se passi tu passiamo anche noi”. Rispondo: “ok a patto che mi facciate da supporto in acqua altrimenti non se ne parla”. Entro, tasto il fondo: ho l’acqua alle ginocchia. O la va o la spacca: giù gas e vai sono d’altra parte. Ora mi viene da ridere, tocca a me bagnarmi ma era questo l’accordo..

Saluto e proseguo. Devo andare oltre i 4000 metri per poi scendere ai 3000. Dormo a Kaza, ma non prima di essermi arenato in un mezzo metro di fanghiglia per una frana. L’arrivo di una ruspa, devo dire tempestiva, e l’aiuto dei locali, mi tira fuori dall’impaccio. Lo spirito di solidarietà “on the road” è encomiabile, d’altronde tutti vivono la stessa difficoltà.

Kaza ha un Gompa bellissimo e un market dotato di tutto, quindi cambio soldi anche per fare benzina. La pompa locale ha però finito il carburante.

Prendo una camera davanti al Gompa, al Kay Cee lodge Guest House. Bamaic, il proprietario, è un tipo simpaticissimo, non c’è energia e mi porta due candele in camera. “Ha necessità di altro? Mi chiede con una cortesia antica. “Dovrei telefonare, ma ho una SIM di una compagnia che qui non ha linea”. Prende il suo telefono, toglie la SIM e me la porge: “Chiama! Poi, se vuoi, me la ricarichi”. Che gente meravigliosa!

Condivido la tavola con ragazzi israeliani, poi faccio un salto a piedi in paese per ricaricare la SIM. Il silenzio della vallata è interrotto dai tanti generatori in funzione.

Il giorno dopo Bamic mi sveglia, hanno portato la benzina. Il mio motto per viaggiare: denaro, benzina e acqua è sempre valido, saluto e procedo verso il fondo valle. In lontananza un altro monastero, passo da motociclista a fotoreporter. Ancora sentieri, sto vivendo sensazioni fuori dal comune, strade scavate nella roccia, poi la pianura coltivata a frumento, c’è un gruppo di donne in sosta colazione, mi fermo mi offrono tè con latte e una specie di biscotti, l’accoglienza è superba, la loro dignità altrettanto, ringrazio e saluto.

Posto di controllo militare, nella baracca c’è un tizio che comunica con il telegrafo. E’ bello sentire il classico rumore di questo strumento primordiale delle telecomunicazioni. La mia testa annota tutto, fotografa, mette insieme odori, scene di vita quotidiana che incontro per strada. Si, la strada, gioia e dolore di chi la percorre. Incontro un ragazzo di Milano in mountain bike. Sulle prime si parla in inglese poi – quando scopriamo di essere entrambi italiani – si ride. Mi dice che più avanti c’è un camion in bilico verso lo strapiombo, pochi km e sono lì, impressionante ho i brividi anche perché a volte sono io con la moto a fiancheggiare lo strapiombo, la foto rende l’idea. Proseguo fino a fondo valle. A Bata sosto, mi faccio due uova e del naan, una specie di piadina locale.

Dopo un 15 km mi ritrovo davanti un fiume. Che faccio, vado o non vado? Una volta dentro non ho alternative, arrivano jeep con turisti gli autisti scendono mi dicono: “Vai casomai ti diamo una mano”. Vado, do gas e la moto mi si spegne. Metto giù i piedi ma non tocco, lascio la moto che si sdraia sulla sinistra, fortuna le solide borse MyTech fanno da spessore. Tutti a darmi una mano, moto dritta, metto in moto e aspetto che la centralina si renda conto dell’altitudine prima di portare la carburazione al top. Prima mi ha fregato, ora no! Metto la prima e gas aperto, alla Ciro de Petri. “Quando sei in difficoltà apri” come mi consigliavano fin da ragazzino. Mi ritrovo fuori, saluto e vado, mentre c’è chi applaude e chi ha il pollice verso l’alto. Prima di giungere a Keylong supero altri tre guadi sempre a manetta, i video girati rendono l’idea.

Sono stanco, faccio una doccia, ceno con mezzo pollo al curry poi a letto. Domani sarà una giornata over the top.

Parto alla chetichella non so il perché ma mi va così (non pensate male, ho pagato il conto).

Dopo la vallata la strada che da Manali porta a Leh è un susseguirsi di tornanti, l’asfalto è al top e allora scateno la cavalleria della kappona. L’altitudine si fa sentire, da quando sono partito ho messo la configurazione a bassi ottani, non si sa mai, meglio qualche cavallo in meno che danneggiare il motore. A volte mi ritrovo solo e le riflessioni sono spontanee. Penso ai miei viaggi, sempre con mille difficoltà, tante apprensioni. E se per caso mi accadesse qualcosa? Sono lontano da tutto, senza possibilità di comunicare, io e la moto. Poi i pensieri si fanno più sereni. Penso alle tante emozioni, le belle persone incontrate, la solidarietà, i panorami incredibili.

A Sarchu, 4253 mt, attendo il passaggio di una colonna di militari, è forte il dispiegamento di truppe, ma nulla a che vedere con quello che troverò in Kashmir.

Supero il passo Baralacha Pass (4890 m) poi il Tanglang La Pass a 5328 m, che non sarà il più alto tra quelli incontrati. Scruto da lontano la strada che sale a zig zag, un camion in lontananza dà l’idea dell’enorme lavoro fatto per rendere carrozzabile la land.

Ho necessità di benzina. A fondo valle ci sono delle tende, parcheggio e come un’aquila scruto se ci sono latte in giro. Loro, i locali, hanno un veicolo e allora devono avere anche “benza”. Detto e fatto 15 lt al doppio del prezzo corrente, o mangio questa minestra o salto la finestra, insomma non ho alternativa.

Proseguo su un fondo dissestato, incontro un ragazzo russo in bici, ora ho un canyon davanti a me, con un prorompente fiume che scorre a fondo valle. Sosto quando mi si avvicina Pongo, così lo battezzo con il nome del mio cane, quattro coccole ed è subito feeling. Che razza sarà? Boh, non importa, è un cane simpatico e questo basta. Risalgo e dallo specchietto noto che mi segue, dopo un po’ sosto di nuovo per scattare una foto e allora mi accorgo che Pongo a gran galoppo mi viene incontro. Ho dei biscotti come scorta, tanta dedizione va premiata e allora gli concedo il pacchetto. Mi guarda, l’accarezzo. Lo vorrei caricare sulla moto e portare via con me. Che pensiero da folle. Lo saluto carezzandolo, scodinzola felice. Poi parto, lui mi segue, mi si stringe il cuore, accelero e lo vedo sparire negli specchietti che ancora corre come un matto.

Leh mi aspetta, gli ultimi 90 km sono tutto asfalto, scatto una foto al passo, poi giù a capofitto per una infinità di tornati. Ecco la vallata con monasteri buddhisti sparsi qua e là, ultimo check point militare e sono a Leh, dopo più di 12 ore di viaggio. Di solito i noleggiatori di Enfield mettono in conto 3 giorni, ma io viaggio con KTM e questo mi permette di osare, l’esperienza aiuta ma è il binomio che funziona. Tra i tanti alberghi scelgo il Grand Himalaya. Sarà una scelta azzeccata, personale disponibile, pulizia ed ogni richiesta diventa una realtà acquisita. Il proprietario mi fa fare il prezzo, affare fatto doccia e due passi al centro.

Potrete vedere la moto con cui Giampiero Pagliochini ha affrontato questa avventura alla 71° Esposizione Internazionale del Motociclo- EICMA di Milano, dal 7 al 10 novembre presso lo spazio espositivo MyTech, Padiglione 14 Stand C16.

Exit mobile version