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Ritorno in India, sul filo del rasoio – Seconda parte

Passata la paura per la caduta, è tempo di salire di nuovo in sella, il tempo stringe e i chilometri da percorrere sono ancora tanti.

Testo e foto di Giampiero Pagliochini

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È ora di tirare le fila, non ho molti giorni a disposizione, ad occhio e croce mi mancano oltre 3000 km per arrivare ad Igumenitza, Grecia, e prendere la nave per l’Italia. Da una parte mi dico di puntare verso la Turchia, ma dall’altra rinunciare ad Isfhan e Persepolis, che erano la meta prima della caduta, mi fa venire il magone. La notte porta consiglio, e al mattino decido di andare ad Isfhan; è una lotta contro le avversità, ma non mollo, non è nel mio carattere.

Quando entro in città, ad Isfahan, tutto mi torna nella mente, e pensare che sono venuto 10 anni fa. Punto verso Iman Khomeini Square, il centro della città. Dormo all’Hotel Setare a pochi passi dalla piazza, in Hafez St. Hafez è un poeta iraniano di Shiraz molto amato dal suo popolo, si dice che ogni iraniano abbia un suo libro sul comodino.

La moto resta al parcheggio, mi infilo nelle strette viuzze che portano alla moschea Jame, luogo di culto ma anche l’esempio concreto di tutti gli stili architettonici islamici che vanno dall’ XI secolo al XVII, passando per l’epoca mongola; chi ha in mente il Ragiastan di Samarcanda o la madrasa di Bukara noterà affinità.

Quando giungo alla piazza Iman Khomeini il sole è già alto, si respira aria primaverile. Qui si trovano alcuni degli edifici più maestosi del mondo islamico, tanto da essere affascinati e sentirsi un tutt’uno con il mondo che ti circonda. Quando più tardi arrivo con la moto la polizia turistica mi concede di entrare nel perimetro che spetta al pubblico, una foto senza recinzione è d’obbligo.

A sud di Isfhan per la strada che porta a Shiraz c’è un’altra opera che attira, specialmente di sera, i locali: il ponte Si-o- Se, un luogo ideale per prendere una tazza di the.

Di buon mattino mi lascio alle spalle Isfahan e scendo a sud per Persepoli, l’antica capitale persiana fatta edificare da Dario I. Il complesso non fu mai terminato, ma lo scopo delle sue imponenti mura erano impressionare i sudditi che ogni anno avevano l’obbligo di portare i tributi. La salita al complesso avveniva attraverso due scalinate che portano all’Apadana la più grande delle costruzioni con 72 colonne, di cui ne restano solo 13, e che fu incendiata e saccheggiata per ordine di Alessandro Magno, ordine impartito per vendicare il saccheggio di Atene da parte di Serse I avvenuto circa 150 anni prima.

Rientro ad Isfhan di sera, sono stanco causa anche la caduta di 3 giorni prima. Il dolore non c’è ma il timore, quando viaggio intorno ai 130 km/h è sempre presente nella testa, a quella velocità uscirne solo con un graffio è da annoverare tra le giornate fortunate.

Una volta a Qazvin non resta che pianificare il rientro verso l’Italia, sostituisco le pastiglie posteriori del freno. Saluto tutti con un lungo abbraccio, con la promessa di tornare presto. La sera dopo dormo a Maku, in arrivo o in uscita dall’Iran, sosto in questo piccolo paesino incastonato tra le montagne a 40 km dalla frontiera.

Durante il tragitto sono stato spettatore di uno spettacolare incidente, un pick up made in Iran è andato fuoristrada, il padre e il bambino sono rimasti illesi, ma quanta paura! Ho curato l’uomo con una ferita al mento con i medicinali che avevo dietro per la mia ferita, tutti mi hanno ringraziato ma non ho fatto altro che ricambiare la loro disponibilità per quanto mi ero accaduto.

In 18 minuti di orologio sbrigo le formalità da parte iraniana, sono le 8.30, i cancelli che dividono i due paesi sono chiusi, gli iraniani mi fanno un favore facendomi passare, lo sono anche quelli turchi, ma devo stare ad un condizione che reputo ridicola. Vengo condotto in un hangar dove vengono passati ai raggi X i camion e le moto. La mente mi riporta a Rajiv, che a Delhi mi ha detto che l’uso di questo sistema è dovuto alla commessa vinta dai turchi per costruire la nuova dogana; qui perdo più di un’ora, poi saluto e vado via, verso Dogubayazit, con l’Ararat imponente con i suoi 5175 m d’altezza; la cima è innevata, la temperatura è cambiata, negli ultimi 20 gg sono passato da oltre 30° ai 13 della Turchia, mi copro, poi via verso ovest.

È sera quando giungo ad Erzician, dopo aver beccato una contravvenzione per aver superato di 10 km il limite. Sul momento non pago perché non ho i 70€ in contanti, mostro la carta, non so che dicono, ma capisco che ad Edirne qualcuno mi aspetta, annuisco tanto da lì non passo, vado per la Grecia ma non lo dico.

La sera mi sbatacchio un Kebab saporito è dal mattino che non mangio, poi a letto domani altro tappone, si va in Cappadocia.

Arrivo di primo pomeriggio ad Urgup faccio un giro tra i pinnacoli erosi dal vento, destando la curiosità dei locali, che quando gli spiego che vengo dall’India mi prendono per un pazzo.

Dormo ad Urgup al Born Hotel una vecchia residenza ottomana, sembra di entrare in un altro mondo tanta è l’originalità del luogo.

La giornata è soleggiata, e con l’occhio attento per non beccare multe, risalgo la Turchia, supero Ankara, anche se prima di imboccare l’autostrada devo fare il coupon elettronico per il pedaggio, 20€ da sfruttare anche la prossima volta.

È sera quando imbocco il ponte sul Bosforo, lascio geograficamente l’Asia ed entro in Europa, non me ne volete se me la tiro, ma il mio GPS celebrale non sbaglia nulla, giungo all’aeroporto Internazionale Ataturk, da lì alla Mosche Blu una passeggiata, stesso Hotel di 5 anni fa: l’Orient, prezzo ottimo personale disponibilissimo.

Dopo una doccia tonificante, sono oltre 800 i km percorsi, esco per mangiare un boccone, mi faccio anche un bicchiere di vino, anche se io non bevo mai.

Tiro lungo al mattino ma non troppo, Igumenitza è lontana circa 1000 km, la nave parte alle 23.50, faccio frontiera, il poliziotto mi saluta, Kalimera. Sono a casa, la sera mi imbarco per l’Italia, è il 31 di ottobre quando metto le ruote fuori dalla nave ad Ancona. Bruno, motociclista Norvegese su Harley, mi segue, va a Siena; lo farò dormire a Foligno da un amico.

L’epilogo, lunedì 4 novembre, salgo a Milano assieme alla bomberina, lei che non dice mai di no. Sono ospite all’Eicma allo stand della My Tech. I segni del viaggio sono indelebili sia per me, anche se non si vedono, che per la moto. Quella valigia e la protezione del serbatoio destro, levigati dall’asfalto iraniano, saranno il commento di tanti. Un grazie a tutti coloro che hanno creduto in me From India to Italy è lì sotto gli occhi di tutti.

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