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Parco della Pietra di Montececeri: semi-sconosciuto a due passi da Firenze

Alla scoperta del Parco della Pietra di Montececeri e Maiano, le cave dove furono estratte le pietre che costruirono Firenze.

Ogni vicolo, ogni scorcio dell’abitato di Fiesole lascia trasparire la testimonianza del lavoro degli scalpellini, di una cava poi usata per ospitare abitazioni, di facciate arredate con le pietre estratte nelle vicinanze. Avvicinarsi al Parco della Pietra di Montececeri percorrendo le strade di Fiesole, antichissima culla etrusca del capoluogo Firenze (Dante defini’ i fiorentini “fiesolane genti” per poi aggiungere epiteti poco onorevoli), significa percorrere un viaggio nella memoria delle persone che hanno popolato le cave di estrazione della pietra serena, ben visibili negli edifici voluti e costruiti dalle associazioni di lavoratori come la Filarmonica, la Biblioteca, la Società di Mutuo Soccorso.

Una società tramontata di cui ormai solo fra pochissimi anziani si possono raccogliere gli aneddoti, i racconti che parlano di coscienza operaia, anarchia, lavoro, miseria, fatica e sacrificio.

Di questo pezzo di storia rimane ormai solo il Parco di Monte Ceceri, le cave ormai chiuse che si possono raggiungere da Prato ai Pini, un piazzale sulla sommità di Borgunto, località costruita intorno alle cave piu’ antiche, poi inurbate e che ospitava le case degli scalpellini, e che si estende fino a Maiano e Ponte a Mensola.
Il sentiero che si immerge fra piante giovani lascia trasparire spesso le tracce di antichissime strade lastricate che servivano fino ad una cinquantina di anni fa per il trasporto coi carri trainati da buoi dei blocchi semilavorati o finiti di pietra serena.

sentieri nel parco della pietra serena

Qualsiasi deviazione dal sentiero significa una scoperta meravigliosa, che ha davvero il sapore della magia; un fronte di cava a “cielo aperto” oppure “fitta” seminascosto dalla vegetazione e dai detriti, ultimi testimoni dei secoli di lavoro che permetteva l’estrazione e la lavorazione della pietra più ricercata di Firenze, rivela a volte le tracce dei ferri degli scalpellini, ancora visibili; altre, fronti imponenti o grotte tanto magnifiche quanto pericolose se si insiste nell’esplorazione, sconsigliata dalle segnalazioni, veramente difficili da non ignorare.

piede di cava

Il sentiero ci accompagna velocemente all’ingresso del Parco della Pietra di Montececeri e al cartello informativo che sintetizza i percorsi da esplorare. La strada che sale a destra conduce in dieci minuti di cammino al Piazzale Leonardo, il punto più alto del parco che ricorda con una stele che lì Leonardo da Vinci ebbe la spiritosa pensata di attaccare delle ali fatte in casa alla schiena del suo assistente per dimostrare che il volo umano era possibile. Cercare di planare con delle ali di legno, corde e tessuto dalla sommità di un fronte di cava, quindi nel vuoto, in tempi in cui non c’era assolutamente traccia della vegetazione attuale, era sembrata evidentemente un’idea non da buttare.
Discordanti le notizie riguardo il risultato dell’esperimento, alcune fonti riferiscono che il povero Zoroastro da Peretola, noto anche come “Astrologo di Brozzi”, figura oscura fra alchimista e scienziato anch’egli perse la vita, altre che ne uscì perfettamente illeso, altre ancora che riportò la frattura di una gamba.
Interessante notare come, nonostante l’ampissima veduta di Firenze comune a tanti scorci del Parco, molto probabilmente ai tempi del celeberrimo esperimento la montagna fosse molto più alta e sia stata ridotta di volume attraverso i secoli dal lavoro dei cavatori. Se vi sono venuti in mente i Nani di Tolkien, non siete i soli.

antico casotto per gli attrezzi

Scendiamo per sentieri un po più impervi fino alla Cava Sarti (dal nome degli ultimi proprietari), una delle ultime a “cielo aperto” in uso fino agli anni ’60 che presenta tante testimonianze della vita degli scalpellini come le caratteristiche casette fatte con grossi scarti di lavorazione e le tracce delle “subbie”, gli scalpelli a punta, sul fronte di cava che servivano per normalizzare la facciata dopo il distacco dei blocchi. Recentemente, la passione di alcuni volontari ha fatto rivivere il suono e le opere degli scalpellini realizzando piccoli bassorilievi a tema “Il Volo” su sassi affioranti: un modo per dare visibilità ad uno degli infiniti tesori d’arte, cultura e archeologia industriale del nostro Paese, purtroppo, come in questo caso, di difficile e non sempre curata manutenzione.
Continuando la discesa in direzione dell’abitato di Fiesole ci imbattiamo in uno degli scorci più affascinanti, fra quelli che scopriamo mediante una veloce visita a piedi: la bellissima e straordinariamente conservata cava “fitta” o “ficcata” Braschi.

cava Braschi

E’ una modalità di estrazione della pietra mediante “latomia”, presa in prestito dalle miniere, che si rendeva necessaria quando la quantità di “galestro”, o materiale non adatto alla lavorazione sopra al “filare”, ovvero la parte migliore e più pregiata era troppa per essere “scoperchiata”, ovvero rimossa.
In questo caso si estraeva la pietra infilandosi letteralmente dentro la montagna e portando alla formazione di vere e proprie grotte, oggi purtroppo non visitabili per motivi di sicurezza ma delle quali si intuisce la maestosità anche dall’esterno, come quella del “Canara” lontana pochi metri da quella Braschi.

Parco della pietra di Montececeri. La Cava di Maiano

Innumerevoli gli scorci panoramici su Firenze, le cave i cui detriti di risulta ostruiscono l’ingresso di gigantesche latomie il cui cielo e’ sorretto da enormi colonne risparmiate proprio per questa funzione.
L’attività estrattiva nelle cave di Maiano e Montececeri è proseguita fino agli ’70 del secolo scorso, quando già non era più conveniente economicamente e il prodotto era già una cosa considerata “da amatori”, ma nel corso dei secoli è servita per realizzare elementi di arredo e architettonici, colonne, portali, capitelli, scalinate e ogni tipo di rifinitura di abitazioni, chiese o palazzi di Firenze e dintorni.
Le storie che si mischiano a volte alla leggenda sulle tecniche adottate per l’estrazione ed il trasporto dei blocchi si sono tramandate per generazioni, come ad esempio quella sul trasporto delle colonne della Biblioteca Nazionale di Firenze, lunghe oltre quattro metri ed in unico blocco, per il cui spostamento fino al Lungarno occorse una settimana mediante carri trainati da buoi.
Allo stesso modo, la vita, le opere dei vecchi cavatori, rifinitori oppure ornatisti, i diversi gradi di perfezionamento e specializzazione degli scalpellini, si sono tramandati di padre in figlio.

scalpellino al lavoro

La necessaria piantumatura iniziata nell’immediato dopoguerra per motivi di sicurezza (le conseguenze di frane dovute a piogge torrenziali improvvise non erano state sottovalutate) ha radicalmente trasformato un paesaggio che nelle foto degli anni ’20 appare a dir poco lunare a causa del continuo trasporto dei blocchi e delle attività di estrazione. D’altronde, il lavoro di manutenzione del verde oggigiorno troppo trascurato e la quasi totale mancanza di divulgazione e conoscenza dell’esistenza di quella che consideriamo una autentica cava si, ma d’oro, a livello di potenzialità di interesse turistico e quindi ritorno economico sono una ennesima prova che nel nostro Paese siamo troppo ricchi per rendercene conto.
L’invito è di andare alla scoperta del Parco della Pietra di Montececeri, il cui ingresso è ovviamente gratuito e lasciarsi rapire da un luogo capace di raccontare, senza parole, secoli di dedizione al lavoro, audacia, inventiva.

 

in moto nei sentieri in prossimità del Parco della pietra di Montececeri
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