Site icon Moto On The Road | viaggi in moto, avventure in moto, turismo in moto

Mostra Scambio di Novegro parte 2: i “super affari”

Seconda parte dell’analisi del collezionismo da mercatino. Una carrellata di “super affari” tra i banchi della Mostra Scambio di Novegro. Per chi ha il portagofglio gonfio e la moglie distratta.

Veniamo ora alla seconda lista di modelli visti a Novegro che, pur non rientrando nella categoria degli affari per polli si classificano a pieno titolo tra i “mettere lì il grano solo per soddisfare brame del passato”. Insomma quelli che se vuoi iniziare una collezione questi forse meglio di no, ma se te ne eri innamorato da piccolo, la moglie non ti controlla il conto corrente segreto (e non lo verrà mai a sapere), hai del grano da butt… da impiegare senza pensieri, allora, forse, ne vale la pena.

Viva viva l’ape maia…

Per scrivere la storia della BMW Gelande Strasse (la GS) ci vorrebbe un libro intero, infatti ne hanno scritti diversi. Io mi limiterò a descrivere le 2 versioni della 1000, di cui quella qui raffigurata è la seconda. La R 100 GS nasce per evolvere la R 80 GS. E lo fa bene: viene inserito un radiatore per l’olio (qui non visibile, è sul paracilindri destro), una decina di cavalli arrivando a 60 – non proprio una belva con oltre 220 chili a secco – ma soprattutto il paralever al posto del monolever, di fatto un’asta fissata tra il telaio e la fine del forcellone che praticamente annulla l’escursione in accelerazione e frenata del retrotreno (peccato: ad ogni accelerata e frenata l’ 80 G/S ti riportava all’infanzia, quando i tuoi ti portavano a saltare sui tappeti elastici).

La prima versione della R100 era più snella di questa nella foto, non aveva quella specie di carena con tanto di tubo a mo’ di protezione del serbatoio (l’unico effetto che ottenevi se piantavi un volo come si deve, era che dovevi cambiare pure il telaietto). Tra l’altro, a livello collezionistico, la prima versione vale più della seconda. Questa qui proposta a 7.500 euro è la versione Dakar (serbatoio maggiorato) in colorazione “Ape Maia”. Era iscritta ASI, ma non era proprio stupenda, e sinceramente per quel prezzo, si trova di meglio. Il grado di negoziazione sul prezzo era sconosciuto a causa della poco o nulla disponibilità del venditore a relazionarsi con il genere umano.

Prima dei Super Freni

Chiedo venia per il palo in mezzo alla foto… volevo esibirmi con un po’ di pole dance ma mi è stato vietato

Questa bella – perché bella lo era – Laverda 750 del 1968 era proposta a 7.500 euro. Era targata, funzionante e pronta per il trapasso. Livello di negoziazione: zero (era all’interno…). La Laverda 750 ha il suo perché collezionistico, però questo modello presentava, accentuati, alcuni piccoli difetti della produzione della casa di Breganze.

Vibrava leggermente, per tirare la frizione era necessario avere l’avambraccio di un Maori All Blacks, non frenava una beneamata minchia (o frenava troppo, insomma, modulabilità: zero) e come TUTTE le Laverda era for man e not for boy. Ma man tanto tanto… per curvare dovevi iniziare a comunicarglielo 20 minuti prima della curva. Se fosse stata una 750 SF – Super Freni – nata come diretta evoluzione di questa, che oltre a frenare degnamente, aveva anche un motore più brillante, forse l’esborso sarebbe valso, ma così… solo se te la vuoi mettere in salotto.

Un simpatico Corsaro

Con una moto simile a questa, il tal Gritti descritto nella puntata precedente si è aggiudicato 3 campionati italiani di regolarità

Questa simpatica – perché bella proprio non la si può definire – Moto Morini Corsaro Regolarità 165 del ’71 era offerta a 5.500 euro, trattabili (ehh per forza, era all’esterno…). Il mezzo aveva delle caratteristiche peculiari per l’epoca; era potente con suoi 17 cavalli, girava come un frullatore per essere un 4 tempi (arrivava a 10.000 giri), aveva un ottimo telaio al cromo molibdeno e addirittura l’ammortizzatore di sterzo.

Questa tra l’altro era ben conservata/sistemata. E allora perché la inserisco nella “seconda lista”? Perché per me è cara. Io sarò particolarmente “stegno” sulle valutazioni, però pagare 5.000 e passa euro per una moto come questa è una – piccola – deriva verso quel collezionismo che non è quello che intendo io. Se però, la sognavate da piccoli, pagandola quel prezzo, non sentitevi mortificati, danni non ne fate.

Al di là della Manica

Quando nel mondo del collezionismo si parla di moto prodotte nella perfida Albione, si accendono discussioni che neanche il derby Inter-Milan. Per alcuni sono dei carciofi scomodi e disperdenti (nel senso che disperdono nell’ambiente pezzi e olio che neanche un Trasformer colpito da un missile), mentre per altri sono l’essenza del vero motociclismo. Sono vere entrambe le visioni: sono dei gran bei pezzi di moto che perdono pezzi per strada. Questa è una Matchless G9 500 del 1951, un bicilindrico parallelo dalle degne prestazioni (nel 1951): 29 cavalli erogati a 6800 giri che le consentivano di toccare i 140 km/h. Fu una moto dal discreto successo commerciale e quella qua proposta era veramente ben restaurata.

Il prezzo richiesto era di 11.500 euro, a mio parere superiore di un 20% a ciò che si trova in giro in queste condizioni. Se però anche questa riaccende in voi passioni sopite, parafrasando Oscar Wilde: l’unico modo per liberarsi di una tentazione è comprarsela.

Dallo stesso commerciante troviamo anche questa bella Triunph Bonneville T 120 del ’69 (o ’70, non era indicato l’anno). Quando nel 1959 uscì il primo modello della T 120, la rivista inglese Motor Cycling la definì “the best motorcycle in the world” (un attimo di parte gli inglesi ehhh) e del tutto mendaci non furono: il suo bicilindrico da 650 cc aveva quasi 50 cavalli e andava forte – oltre 170 km/h – era ben frenata e con una decente tenuta di strada. Era pure comoda (era nata per soddisfare le esigenze del mercato americano). Per questa la richiesta era di 11.500 euro, e anche qui si applica il concetto utilizzato per la Matchless: bella ma cara. Se però nel ’70 il vostro vicino figo ne aveva una, oppure siete dei fan di Steve McQueen (che ne “La grande fuga” utilizzerà una T6 Trophy – praticamente una T120 con il manubrio più alto – per esibirsi nel salto del filo spinato) che possedeva una T120 TR (la versione scrambler), allora procedete all’acquisto senza rimorsi.
PS: comperatevi anche una bacinella da mettere sotto il cambio, non si sa mai.

Club Privé

Codesta Ossa 250 MAR era un piccolo affare a condizione che possediate anche una collina privata. Infatti il mezzo era decentemente tenuto, partiva al primo colpo (dichiarazione del venditore, non ho tentato di slogarmi la caviglia nel provarlo di persona) ed era abbastanza ben restaurata (anche se manopole, fiancatine e silenziatore non sono originali) . Sfortunatamente non disponeva di targa, libretto e luogo di provenienza. Insomma, oltre ad una dichiarazione di buona fede del venditore, non aveva null’altro.

È vero che chiedeva solo 1.800 euro (trattabili) ma il rischio di spenderne altrettanti tra CRS, ritargamenti, collaudi, etc, etc, la portava fuori prezzo. Quindi l’unica era utilizzarla per andare su e giù da una collina, privata. Però siccome non vi chiamate Mick Andrews – che con questa ci ha vinto 2 campionati del mondo trial – probabilmente vi divertireste poco. Peccato perché la Ossa 250 ai suoi tempi – inizio anni ’70 – era un bel mezzo: 18 cavalli a 6.000 giri (praticamente un diesel…) con un peso di soli 87 chili, relativamente comoda per essere una moto da trial. Il difetto principale erano i freni, che erano finti (nel senso che erano installati ma… facevi prima a fermarti mettendo giù i piedi come quando avevi 12 anni e finivi i freni in bici).

Roba d’altri tempi!

Per guidare questa devi fare un corso apposito. Anzi, anche solo per accenderla

Questa sono stato a lungo indeciso se metterla in questo capitolo o nel successivo, quello dedicato agli affari a senso unico. Il mezzo – una Moto Guzzi 15 del 1932 – è indiscutibilmente una pietra miliare della storia del motociclismo. Nata nel ’31, continuerà ad essere prodotta sino al ‘39. D’altronde disponeva già sin dall’inizio di prestazioni di livello: 100 km/ h di velocità massima, 13 cv a 4.000 giri (ma con un minimo a 300 giri), un modesto consumo di benzina (35 km con un litro) e mostruoso consumo d’olio (350 km con un litro… praticamente andava a miscela). Ne costruirono quasi 6.000, che per l’epoca non erano poche, soprattutto considerando che per acquistarla, l’operaio che la costruiva avrebbe dovuto lavorare per 30 mesi. Indistruttibile – per i canoni dell’epoca – ne circolano ancora un buon numero.
E qui veniamo al busillis. Sino a 10 anni fa, una moto come la 15 ben tenuta la portavi a casa per 10.000 euro. Oggi sono capaci di chiedertene 28.000, come la richiesta del venditore di questa. Era una chilometri zero (no, non nel senso dell’occasione con cui il conce di turno tenta di piazzarti il fondo di magazzino immatricolato e che non cag… desidera nessuno), rifatta – anzi, fatta – da zero, con l’unico neo collezionistico di essere stata ritargata, anche se era giustamente dotata della Targa Oro.

Sinceramente, per quanto non possa impedirmi di apprezzare la qualità del lavoro svolto, e anche considerando che con il centenario della Moto Guzzi festeggiato l’anno scorso, i suoi modelli più antichi abbiamo subito una rivalutazione di botto del 10-20%, tirare fuori 55 milioni di lire (fa più effetto) per una moto che sino ad un paio di anni fa si trovava a meno 15.000 euro, non mi sconfinfera.
Per cui la inserisco in questo capitolo per onorare il mezzo, più che la giusta valutazione del prezzo.

P.S.: visto che il centenario ha portato un salto galattico delle quotazioni, ho pensato che, per il prossimo centenario che cadrà nel 2121, inizierò a rastrellarne sul mercato a badilate un paio di anni prima, così finalmente potrò diventare ricco anch’io.

Arriviamo infine ai super affari di Novegro (per chi vende): mezzi con prezzi spesso lontani da ogni fondamento collezionistico (e anche dal pudore…)

Partiamo con un oggetto che non è una moto, ma un simpatico giocattolino d’epoca. E’ un modellino in metallo di una Ferrari F1 degli anni ’50. Lunga una trentina di centimetri, disponeva di un elastico all’interno che, una volta caricato, le consentiva di muoversi autonomamente (l’antesignana delle macchine a molla). Non è dato sapere se anche l’elastico fosse d’epoca.

Solo per chi ha un gatto

Il prezzo: 2.200 euro. Intrattabili, of course.

Va bene. Io 2.200 euro li caccio, ma a quel prezzo tu vieni a casa mia TUTTE le sere a caricarmi l’elastico per far andare la macchina e divertire il mio gatto. Se il gatto non si diverte, mi restituisci il tutto.

Un bel soprammobile (ma poi neanche tanto)

La Malanca 2 cilindri 125, qua in versione “Cilindri Grandi” Sport (si suppone perché il venditore sapeva a malapena che cilindrata avesse) era un bel mezzo degli anni ’70. Era un fulmine con i suoi 135 km/h, legnando modelli molto ambiti come lo Zundapp 125. Dotata di 19 cavalli ma soprattutto di un motore a 2 cilindri – una vera chicca – non ebbe il successo commerciale dovuto; principalmente per motivi legati all’insufficienza della rete commerciale (cosa che affliggerà molti altri piccoli costruttori del periodo).

Il mezzo qui proposto al prezzo di 3.500 euro è da considerarsi fuori mercato per 3 motivi: non vi era traccia di alcuna documentazione (targhe, libretti, etc, etc), non disponeva di nessuna fiches di omologazione per la gare storiche (“fiches? ma se l’è??”), e last but not least, manco si sapeva se fosse funzionante.

Quando hai del danaro da buttare

La Kawasaki 750 mach IV era una 3 cilindri 2 tempi con 74 cavalli a 6.800 giri e una coppia a 6.500, già questo la dovrebbe dire lunga su quanto fosse guidabile il mezzo in questione. Ma quello che più colpisce erano i soprannomi che gli vennero affibbiati: la sua progenitrice – la 500 Mach III, una 500 da 67 cavalli – era chiamata “bara volante”, mentre gli americani alle 750 appiopparono il soprannome di Widow Maker, tradotto: produttrice di vedove. Questo coso con 2 ruote all’estremità, aveva la caratteristica di accelerare come un dragster, consumare come una petroliera, frenare come un monopattino e tenere la strada come un ubriaco sul ghiaccio. In compenso consentiva anche al pilota più nerchia del mondo di esibirsi in continui monoruota, anche quando non voluti. Per una valutazione di come finissero questi monoruota è necessario consultare i registri dei reparti ortopedici dell’epoca.
Le quotazioni di questi affari, se decentemente tenuti (diffidate da annunci tipo “mai incidentato”: o sono falsi o la moto non si è mai mossa dal box) vanno dai 7-8.000 euro ai 20.000 (veramente, giuro; c’è gente che spende ‘ste cifre). Più degnamente, se ne trovano di ottime, perfettamente restaurate, a 15.000. Qualcuno potrebbe pensare sia un furto (…furto… mica ti puntano una pistola alla tempia, se hai 30 biglietti da 500 euro da sottrarre alla causa di divorzio, pur essendoci sistemi più divertenti per buttare il danaro, te la comperi, è una tua libera scelta). Per richiedere un Trattamento Sanitario Obbligatorio vi devono essere almeno altre concause.

Al venditore del mezzo in offerta va riconosciuta una certa flemma: chiedeva 14.000 euro, rimanendo serio.

Come serio è rimasto quando ha snocciolato le particolari virtù del mezzo: non è MAI stato targato (quindi, non lo targherai MAI se non con una procedura che neanche quelli dell’Apollo 13 per tornare sulla terra); le marmitte non erano solo non originali, bensì “particolari espansioni artigianali dell’epoca… delle vere rarità”; il motore era “impreziosito da viterie in ergal” (glohmm…); il manubrio… non c’era, al suo posto dei semi manubri di epoca ignota; i cerchi “optional dell’epoca” (ma quando mai??). Però alla fine mi ha messo sull’avviso: forse la ruota posteriore dovrebbe essere cambiata prima di qualsiasi procedura di immatricolazione… probabilmente non era della misura a libretto (quale, libretto?).

Ho lasciato per ultima la migliore in tutti i sensi di Novegro, la proposta più comica e il venditore più simpatico.

Il mezzo è una Norton Manx. E un inchino ci starebbe. Anche se questa è una 350 e non la 500, è comunque uno dei mezzi più vincenti di sempre. Con 36/38 cavalli (siamo nell’ordine dei 100 cv/litro per un monocilindrico nato nel 1936) ha dominato la scena internazionale per 30 anni; penso sia la moto più vincente e longeva nel panorama mondiale. Nel 1950 riceve il famoso telaio featherbed (letto di piume) così chiamato per differenziarlo dai telai precedenti, che grazie a una costruzione in tubi di grossa sezione al cromo molibdeno e a una particolare geometria, consentiva una facilità di guida sino ad allora sconosciute.

Tren-tot-to-mi-la! Sulla fiducia.

 

Quella qua proposta era del 1954, con tanto di Targa Oro. Non restaurata, anzi, conservata – male – aveva più o meno tutti i pezzi originali al loro posto.
Alla richiesta del prezzo, la prima risposta è stata che non era trattabile: così tanto per chiarire chi comandasse lì. Poi l’importo è arrivato: lanciato a voce alta, con orgoglio, nell’aria è risuonato uno stentoreo TRENTOTTOMILA.
Pensavo di aver capito male, me lo ha ripetuto sillabandolo.
E me ne ha ancora ribadito l’intrattabilità dichiarando che erano 14 anni che quello era il prezzo (ma non ci crede nessuno). E nei 14 anni, per coerenza, non l’aveva mai messa in moto.

Ma il motore allora funziona?
Ahh… l’unica per saperlo è cambiare la candela, pulire il serbatoio e il carburatore, dare una regolata all’accensione e provare”.
E questi elaborati test li possiamo fare prima di cacciare i 38.000 o dopo?
Dopo. La moto la vendo vista e piaciuta”.
Ma il cambio ?
Ha 4 marce.”
Si, grazie lo sapevo anch’io, ma funziona?
Tutte e 4 le marce? E come faccio a saperlo… sono 14 anni che non va in moto!”

Coerente lo era, indiscutibilmente. Solo che a 38.000 euro si trovano moto ex works e con nobili passati da podio. Abbiamo fissato un incontro tra 14 anni, nel 2036. Se sarà ancora in suo possesso, magari una controfferta a quel punto gliela faccio.

Insomma, la domanda che mi sono posto alla fine della giornata di peregrinazione alla Mostra Scambio di Novegro, è stata: ci tornerò?
Sì, dopotutto ci tornerò. Lo farò perché il ferro, insieme alla gomma, la plastica, la benzina, e tutto quello che compone un mezzo a due ruote, per chi è un petrolhead come me, è una calamita. E da quella non ti stacchi.

Testo e foto di Marco Cesare Canella

(Qui la prima parte: analisi di mercat(in)o e affari, veri o presunti)

Exit mobile version