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Un lungo viaggio in moto che parte dall’India e arriva in Italia – Seconda parte

Sette giorni in Ladhak, il Tibet indiano, il regno buddista per secoli. Testo e foto di Giampiero Pagliochini [wp_geo_map]

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Arrivo a Leh, capitale del Ladhak, il Tibet dell’India, il regno buddista per secoli. La città è un brulicare di turisti; Ci sono agenzie ovunque. La realtà è che solo dai primi di giugno a fine ottobre è raggiungibile via terra e con molte difficoltà, poi l’impeto delle montagne himalayane la isola dal mondo. Parcheggio nella via principale e la moto diventa l’attrattiva del momento, conciata così è una mosca bianca in confronto alle Enfield che gli stranieri affittano onde evitare costi e burocrazia, come ha fatto il sottoscritto. All’Hotel Grande Himalaya pianifico con l’aiuto del personale l’escursione al Pangong Tso lake e nella Nubra valley, due realtà diverse nei paesaggi, di cui uno fa da confine con la Cina e l’altra con il Pakistan. Per il momento parcheggio la moto e faccio il turista. Percorrendo viuzze che si incastrano tra le tante abitazioni del quartiere islamico, raggiungo il forte, fino allo scorso secolo residenza dei Signori del ladra, successivamente privati del potere. Dalla sua sommità si ha una veduta mozzafiato: una vallata immensa con montagne innevate sullo sfondo. Una delle mete preferite per gli appassionati di trekking. Il silenzio enfatizza la vista, anche se, per un attimo, il rombo di un aereo infrange la quiete. Leh è collegata a Delhi con due voli giornalieri, che a volte ritardano o addirittura vengo soppressi per le condizioni climatiche. E’ giunta l’ora di partire. Sempre con la cartina sotto agli occhi, ridiscendo la valle che ho percorso salendo da Leh, a Kuru svolto a sinistra per Pangong Tso. Ho con me tutto quello di cui ho bisogno: viveri, acqua e in primis benzina. So che sarà dura, anche perché ho deciso di fare tutto in un giorno. Lasciato l’asfalto, ritrovo l’impervio off-road dei giorni precedenti. La strada arranca a zic zag sul costone della montagna. La grande differenza con le strade delle Ande è questa, là tutti altopiani qui un continuo saliscendi. Giungo al Chang La Pass, il secondo valico carrozzabile per altezza, 5380 metri di altitudine. Incontro tanti riders indiani che mi fanno le stesse domande riguardo la cilindrata, il costo e velocità della moto. Quando snocciolo le cifre…apriti cielo, sgranano immancabilmente gli occhi increduli. Quattro parole, un tè caldo e via verso la meta. La vallata è un contrasto di verde e colori delle rocce che a tratti cambiano tonalità, qua e là pascoli di yak, mentre la gente è di chiare origini tibetane, probabilmente i tanti fuggiti dal Tibet dopo l’occupazione cinese del 1959. Il cielo è plumbeo da lì a poco una tempesta di vento e sabbia oscurerà il lago. Scatto delle foto, poi arrivano i riders indiani e tutti assieme, riparati sotto i tanti ristoranti, aspettiamo che torni la calma. Non ho voglia di aspettare e indossata l’antipioggia parto. Quando arrivo al passo trovo grandine mista a pioggia che mi accompagnerà fino a Leh. Sono stanco ma felice delle tante emozioni e dei tanti incontri vissuti. Mi sento come un hard disk: immagazzino e poi mi vado a rivedere i tanti file, vita quotidiana, persone, visi e paesaggi, adrenalina a mille. Nel dormi veglia del mattino non sento il rombo degli aerei, scosto la tenda e in effetti il cielo è coperto. Rimando la partenza per la Nubra valley, ne approfitto per fare shopping ai tanti mercatini dei rifugiati tibetani, anche se a mio parere, sa oramai di slogan del tipo Tibet Free, che si legge ovunque. Lascio l’albergo alle spalle e salgo verso il Khardung La Pass il più alto carrozzabile del mondo, 5602 m/slm. A 7 km dalla cima c’è un controllo dove esibire i permessi per visitare la Nubra valley, altri 2 km tutti fermi, è venuta giù la parete della montagna. Che si fa? La realtà che queste popolazioni vivono quotidianamente aguzza l’ingegno, in 2 o 3 persone prendono dei massi e rompono la parte esterna della grande roccia che ostruisce il passaggio. Eccome se funziona! Grazie alla stazza inferiore, noi motociclisti riusciamo a passare, e allora lungo la strada nevica. La foto sotto il cartello è d’obbligo, unita a un tè caldo. Il termometro segna -16 fahrenheit tradotto in Celsius –9; insomma si sta freschi. Il tempo è inclemente: neve, grandine e pioggia; la strada è quello che è, e per me con la stazza della K è dura, ma la componentistica aiuta e così sfilo via i riders indiani. Poi a fondo valle tutto cambia, la temperatura sale e nel primo pomeriggi arrivo a Diskit, un piccolo villaggio dominato dall’alto da un monastero buddista e una statua di 30 mt del Buddha incompiuta. Sosto all’hotel Sand Dune. Ora qualcuno obietterà che sono a 4000 mt e che cosa c’entrano sabbia e dune; semplice, 12 km più avanti ad Hunder ci sono dune di sabbia, e chi mi regge mi dico. Al mattino con la moto scarica arrivo alle dune, ci sono turisti, metto la fotocamera in mano ad un ragazzo tedesco e gli dico di scattare più foto che può, io nel frattempo vado a farmi una cavalcata: che goduria. Torno a Diskit, ho benzina, ma vorrei fare il pieno. Sono le 10 del mattino e tutti aspettano il benzinaio, ma di lui nemmeno l’ombra. Decido allora di tornare in albergo, carico tutto e prendo la strada per Leh. Pensavo che le emozioni fossero finite, ma in prossimità del Khardug La, tutto cambia rapidamente, nevica di nuovo. Che bello: in agosto beccare la neve, quando mi accadrà di nuovo? Solite foto e riprese, questa volta pranzo a noddles, poi lesto lesto – non vorrei andarmene – scendo verso la vallata. Qui incontro italiani che girano con moto indiane, sono restii a salire perché gli hanno detto che nevica, cavolo hanno jeep al seguito e tutto quello che gli occorre, vorrei scatenarmi ma chi me lo fa fare. Li incontrerò il giorno dopo a Leh; non sono saliti al passo…cavolo che moto baristi. All’hotel mi guardano stupiti. Sporco io? Perché non hanno visto la moto. Uno di loro vuole lavarla, ma io mi rifiuto. E’ ora di partire per il Kashmir, fatta colazione lascio Leh, ma prima faccio rifornimento all’unico distributore alla rotonda fuori città, dove tutte le strade hanno inizio per le diverse direzioni, la mia va a valle verso l’aeroporto, ciao Leh non dimenticherò questa settimana intensa, mi sembra di aver vissuto il doppio del tempo, riflessioni da uomo libero a cavallo della libertà. vai alla prima parte

 

 

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