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Il vento della Patagonia

Testo di Walter Ramperti – Foto di Walter Ramperti e Marco Bruscolini

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La Patagonia rappresenta un punto di arrivo per i viaggi in motocicletta. Posta all’estremità del continente Sud Americano è visitabile solo nel periodo invernale europeo. Ideale andarci come abbiamo fatto noi nel periodo natalizio.

Fanno parte di questa nuova avventura sei motociclisti provenienti da varie aree italiane. Sei centauri che mai si sono incontrati prima e che il destino ha unito. Partecipa alla spedizione anche Maurizio che, reduce da tante gare in fuori strada, molto probabilmente è la persona che più se la cava su una due ruote, ma che per questo viaggio sarà una specie di “angelo custode” parcheggiato su una comoda “limousine” colma di bagagli dei motociclisti e pronto a sostituire chi avrà problemi di salute o altro. Viaggia accompagnato dall’inseparabile “Pedro”.

Non inizia bene questa nuova avventura “Patagonica” quando una giovane meticcia con la divisa da poliziotta dello sconosciuto corpo speciale del “Ministerio Agricolo” blocca il container che contiene le preziose “Cavalle” per una sospetta quanto inesistente contaminazione da polvere di grano.

Lo sbarco delle moto a Chaiten – Cile

Si tratta solo di polvere. Polvere che proviene dai rotoli di lana di roccia che abbiamo raccolto nei materiali esausti e destinati alla discarica del porto di Livorno. Il materiale di recupero, soffice e spesso, era stato usato per evitare che le moto sbatacchiassero per tutti i quarantacinque giorni di traversata oceanica dal Bel Paese al Cile. La donna, sempre più corrucciata, è irremovibile e nulla ottengono le nostre suppliche. Oltretutto siamo dei giganti rispetto alla piccola cilena e la ragazza sembra patire molto la differenza di statura.La situazione, visto che domani è la vigilia di Natale e poi c’è Santo Stefano è pesante perché bloccherebbe le moto per alcuni giorni.Grazie al cielo e al Senor Carlos dell’agenzia della dogana la situazione si sblocca con il pagamento di duecentotrenta verdoni americani per la pulizia del container versati nelle tasche della “Carabiniera” cilena in gonnella. Finisce tutto, come direbbero in Toscana, a tarallucci e vino, mentre qui in Cile iniziano le “Navidad fiestas” e l’aria si impregna del profumo della carne sfrigolante alla griglia e dell’umore delle belle ragazze. Non si può odiare un paese meraviglioso come il Cile per una “Guapa” che si è svegliata con la luna di traverso.

L’impegnativa pista nel parco Nazionale del Conguillo – Cile

Bastano pochi metri in sella con l’aria che sbatte sulla faccia per farci dimenticare tutto. Concepcion non è una città caotica e bastano tre svolte ben assestate per uscire dal centro abitato ed infilare la statale che conduce verso Angol.

Il Parco Nazionale del Conguillo si presenta in tutta la sua bellezza. Dopo Curacautin l’asfalto finisce. Ci troviamo immersi nella fitta vegetazione sulla pista lavica che lambisce il vulcano Llaima. Di tanto in tanto alcuni tratti sabbiosi mettono in difficoltà le pesanti “ammiraglie” come le mastodontiche BMW 1200 GS Adventure. Antonio, bergamasco doc, che nella vita di tutti i giorni fa l’avvocato è il primo ad essere inghiottito dalle “sabbie mobili”. Anche Angelo, commercialista siciliano al cento per cento, ma trapiantato a Bologna è in difficoltà. Romolo, produttore di cachemire di Torino, sembra cavarsela benissimo sulla sempre verde Kawasaki azzurra KL 650 del 1987 Avanti Cristo, ma anche lui è costretto a sudare le fatidiche sette camicie. Marco, bolognese, colto, un vero gentleman nella vita privata in sella alla sua Yamaha Tenerè si trasforma in un “cinghialone” stile Fabrizio Meoni che affronta con grinta i tratti più impervi.

Sosta natalizia ospiti di una famiglia nel Parco Nazionale del Conguillo

Per Lui il destino è già segnato: Comunque vada sarà un successo! Chiude il gruppo Vittorio, romano “dentro le mura” che se la cava benissimo sulla sua Yamaha TDM gommata da strada, sì avete capito bene gommata da strada! Aggiungo anche che la gomma posteriore è quasi finita. Anche per Lui il destino è segnato: Non arriverà mai ad Ushuaia con questa gomma! Dimenticavo il sottoscritto. Ci sono anch’io! Sono Tawil, vale a dire quello alto e guido una KTM 625 con sella e manubrio ad altezze aeronautiche. Inutile dire che con questa moto leggera mi trovo perfettamente a mio agio su ogni fondo stradale. Finire a terra e rotolare nella polvere non è una bella cosa, ma neanche un disonore. E’ come pagare il conto al ristorante dopo una bella cena. L’unica differenza è che qui siamo ancora all’antipasto. Impieghiamo tutto il giorno per superare il parco. Incontriamo all’entrata di un villaggio un giovane simpatico che promette di condurci in un alloggio. Vista la tarda ora decidiamo di seguirlo. La piccola costruzione in legno a ridosso del bosco ci trasporta in una fiaba nel paese delle meraviglie. I proprietari, una coppia con due figli ci accoglie con calore. Colpisce la massima disponibilità nei nostri confronti. E’ la vigilia di Natale. La cena, a base di carne arrostita e insalata appena colta nell’orto, è ottima e si protrae fino a tardi tra abbondanti libagioni e splendide ballate eseguite dalla coppia cilena con voce e chitarre. Riprendiamo la strada che attraversa il Parco Nazionale di Huerguehue dominato dal cono imbiancato del vulcano Villarica, poi da Pucon ritroviamo l’asfalto e la Carretera n. 5 che ci accompagna fino a Puerto Montt.

Le case colorate di Castro, il capoluogo dell’Isola del Chiloe – Cile

L’isola del Chiloé, lunga poco meno di duecento chilometri, è molto lussureggiante. E’ raggiungibile dal continente con uno dei traghetti che fanno da spola da Pargua a Cacao.

Piove, ma nessuno di noi vuole rinunciare alla colonia di pinguini della Baia Cocotue. Il breve sterrato che conduce verso la baia, anche se reso viscido dalla pioggia, oltre che impegnativo è fantastico. Arriviamo alla spiaggia all’ora di pranzo. I pinguini vivono su uno scoglio raggiungibile solo con una barca a qualche centinaio di metri dalla terra ferma. Le condizioni meteorologiche sono pessime tanto da costringerci a trovare riparo dal gelido vento del Pacifico in una locanda dove servono ottimo pesce alla griglia. Sulla strada del rientro, Marco e la sua fiammante Yamaha Tenerè vengono “tamponati” da una mucca imbizzarrita, per fortuna senza conseguenze né per il centauro né per il gigantesco mammifero. Rientriamo a Puerto Montt dove ci attende il traghetto della Naviera Austral che ci condurrà fino a Chaiten. Il villaggio si sta lentamente riprendendo dopo la terribile eruzione di due anni fa. Dei cinquemila abitanti, che avevano abbandonato la cittadina, ne sono ritornati cinquecento. Da queste parti la natura è forte. La fitta foschia che all’alba inghiottiva le calme acque dell’oceano sta velocemente evaporando regalandoci la vista delle vette imbiancate dei vulcani Michinmahuida e Corcovado. Siamo in uno dei posti più belli del pianeta. Dopo Porto Gardenas inizia lo sterrato. Vittorio, sposato e padre di due figli, che realizza il sogno di una vita con questo viaggio, è il primo a forare. La gomma posteriore tubeless, ossia senza camera d’aria, è riparata in pochi minuti, ma dopo pochi chilometri il “Centurione” romano è di nuovo con la gomma a terra.

Gli splendidi scenari lungo la Caretera Austral in Cile

Ripartiamo e restiamo uniti per i centocinquanta chilometri di sterrato che ci separano da Puerto Aisen. Stiamo percorrendo la Ruta 7, la celeberrima Carretera Longitudinal Austral Presidente Pinochet, meglio nota come “Camino Austral”. La strada, che inizia a Puerto Montt, attraversa da Nord a Sud questa parte del Cile bordeggiando il confine Argentino fino a Villa O’Higgins. Osservando il “Camino Austral” su una mappa si potrebbe pensare che il tracciato sia totalmente terrestre mentre chi lo vuole percorrere per intero deve ricorrere spesso ai traghetti. Il paesaggio, sempre straordinario, ricorda molto la costa Norvegese e l’Inside Passage dell’Alaska. Per secoli questa zona è stata abitata solo dagli indios Chonos e Alacaluf che pescavano nei numerosi e tortuosi canali e dai Tehuelche che cacciavano il guanaco e altri tipi di selvaggina.

L’aspro aspetto geografico ha sempre scoraggiato gli europei dai tentativi di insediamento. Solo agli inizi del 900 il Cile incominciò a promuovere la colonizzazione della regione concedendo contratti per l’allevamento del bestiame e per lo sfruttamento del legname. Uno dei risultati di questa politica fu la distruzione di gran parte delle originarie foreste di faggi australi.

Sosta lungo la Caretera Austral in Cile

Incoraggiati da una legge cilena che premiava con titoli di proprietà il disboscamento i coloni bruciarono tre milioni di ettari di foreste. Dalla riforma agraria del 1960 l’influenza dei grossi proprietari terrieri è molto diminuita e il miglioramento delle comunicazioni via mare e della rete stradale ha incoraggiato l’immigrazione nella zona che tuttavia è ancora scarsamente popolata. Negli ultimi anni, l’allevamento del salmone, una delle attività più importanti del paese, sta danneggiando l’ambiente nelle aree costiere.

C’è anche un’altra notizia che toglie il sonno agli abitanti della Patagonia Cilena. Si tratta di un progetto di 5 grandi dighe sui 2 fiumi della regione dell’Aysen, con una serie di centrali elettriche. Le dighe dovrebbero sorgere in alta quota in un raro ecosistema forestale alpino tra cascate e canyon. Sbarreranno i fiumi Pascua e Baker che scendono tumultuosi verso i fiordi dell’Oceano Pacifico. Allagheranno ben 5600 ettari di terre con un impatto ambientale devastante. Il sistema di dighe produrrà 2750 megawatt, che sarà poi trasportata verso nord a ben 2300 chilometri di distanza in direzione di Santiago del Cile tramite una linea di trasmissione di 6000 torri alte 70 metri che attraverserà i territori Mapuche, 9 regioni, 6 parchi nazionali. Il progetto di 3 miliardi di dollari, esclusa la linea di trasmissione, è per il 51% della Endesa controllata dall’italiana Enel.

Facciamo sosta per la notte nella città Coihaique, poi ci spingiamo verso Sud. A poche centinaia di metri dalla dogana, la strada piega verso destra, attraversa una gola spettacolare e ci conduce fino a Villa Cerro Castillo, un piccolo villaggio, circondato da cime rocciose da brivido. Lo sterrato immerso nella fitta vegetazione all’inizio presenta insidiosi tratti di “tole ondulé”, ma dopo una decina di chilometri si trasforma in una pista compatta e levigata. Al microscopico villaggio di Bahia Murta ci appare per la prima volta il lago General Carrera. Ci fermiamo a Puerto Tranquillo, anche se è ancora molto presto, affascinati dall’azzurro intenso delle acque del lago e dalle confortevoli cabanas sulla spiaggia che saranno il nostro rifugio per la notte. La pista che costeggia il lago General Carrera è fantastica. Superiamo un ponte, l’unico, prima del villaggio di El Maiten e del bivio che conduce, seguendo la sponda opposta del lago, verso l’Argentina.

Chile Chico è l’ultimo villaggio cileno. Il Lago General Carrera in Argentina si trasforma in Lago Buenos Aires e lo sterrato in una bella strada asfaltata. Adesso seguiamo la famosa Ruta 40. La strada più lunga e spettacolare d’Argentina costruita nel 1935 attraversa longitudinalmente 4885 chilometri da Cabo Virgineo al confine boliviano di La Quiaca. In alcuni punti supera i 5000 metri sul livello del mare, attraversa 20 riserve e parchi nazionali, 18 fiumi, 60 città, 27 passi di cordigliera andina, 236 ponti e 13 laghi. Trenta chilometri prima di Bajo Caracoles le nostre moto fanno i conti per la prima volta con l’insidioso “ripio” vale a dire la pista in ghiaia.. Il villaggio conta si e no trenta anime. La stazione di servizio è gestita da un ragazzino che tenta in tutti i modi di riempire i serbatoi delle nostre moto di gasolio. Evitato il disastro prendiamo possesso di due minuscole camere con quattro letti a castello. Ci lasciamo alle spalle questo posto dimenticato da Dio per spingerci verso Sud. Incontriamo lungo il nostro tragitto il famoso vento della Patagonia. Le raffiche sono violentissime. Chi si ferma è perduto. Il primo a farne le spese è Angelo che con la sua mastodontica BMW 1200 GS è il primo ad essere spazzato via dal vento. Anche Vittorio subisce la stessa sorte spinto dalle raffiche in un fuori pista involontario. E’ il panico! La difficoltà sta tutta nel guidare negli stretti canali scavati tra la ghiaia della pista dai mezzi pesanti. Chi non riesce a mantenere una velocità costante di almeno quaranta chilometri all’ora rischia di finire a terra.

Il gruppo dei motociclisti davanti al complesso del Fitz Roy (da sinistra: Walter, Maurizio, Antonio, Angelo, Vittorio, Marco e Rom

Per fortuna dopo cinquanta chilometri il velo cala d’intensità e cambia di direzione. Dopo il rifornimento alla stazione di servizio di Tres Lagos ritroviamo l’asfalto. La fatica viene ampiamente ripagata dalla vista del complesso montano del Fitz Roy e del Cerro Torre che ci appaiono all’orizzonte in tutta la loro bellezza. El Chaltèn é un piccolo villaggio montano nella provincia di Santa Cruz. È posizionato sulla sponda del fiume Río de las Vueltas, all’interno del Parco Nazionale Los Glaciares. “Chaltén” è una parola tehuelche che significa montagna fumante. Gli Indios credevano fosse un vulcano per la sua cima, la maggior parte del tempo, coperta da nuvole.

Il Cerro Torre

Una delle più belle escursioni che si possono fare da queste parti e quella di seguire il sentiero che conduce alla laguna del Cerro Torre. L’arrampicata impegnativa nella prima ora diventa una passeggiata immersa in un panorama straordinario che conduce fino al Mirador Maestri. La vista sul ghiacciaio che precipita nella laguna color caffé latte circondata del famosissimo “urlo di pietra” è mozzafiato. Oggi é anche l’ultimo giorno dell’anno. Il gruppo ormai é affiatato. Accade raramente. Come se una sorta di benedizione divina fosse scesa sul gruppo dandogli una forza interiore notevole ed inaspettata. Ognuno dei componenti di questa avventura si porta dietro esperienze di vita diverse, picchi di felicità e tristezze profonde che il viaggio con il trascorrere dei giorni ha livellato e plasmato in ogni componente del gruppo. C’é chi viaggia per dimenticare, chi per dimostrare qualcosa a qualcuno o a se stesso, ma per tutti é la passione per la moto che motiva e unisce.

Il ghiacciaio del Perito Moreno

La strada che conduce a El Calafate è tutta asfaltata. La giornata, sotto una fitta e gelida pioggia, è decisamente brutta. Raggiungiamo la cittadina in poco più di due ore. El Calafate è situata sulla riva meridionale del Lago Argentino, a circa trecento chilometri dal capoluogo Río Gallegos. Il suo nome deriva da un piccolo arbusto dai fiori gialli con bacche di colore blu scuro molto comune in Patagonia. El Calafate è molto vivace ed è la base di partenza ideale per visitare il ghiacciaio più famoso del mondo. Il Perito Moreno è una formazione di ghiaccio, che si estende per duecentocinquanta chilometri di lunghezza e per trenta chilometri in larghezza, è uno dei tanti ghiacciai alimentati dal Campo de Hielo Sur, del sistema andino, condiviso con il Cile. E’ la terza riserva al mondo d’acqua dolce. Il ghiacciaio, situato a settantotto chilometri dal centro abitato, prende il proprio nome dall’esploratore Francisco Moreno, un pioniere che studiò la regione nel XIX secolo e giocò un ruolo di primo piano nella difesa del territorio argentino nel conflitto sorto intorno alla disputa sul confine internazionale con il Cile.

Le Torri del Paine

Salutiamo El Calafate e l’Argentina per spingerci verso il confine Cileno. Ci lasciamo alle spalle Esperanza e la bella e panoramica strada asfaltata che finisce a Cancha Carrera. Raggiungiamo la frontiera composta da una piccola caserma, seguendo uno sterrato fantastico. Entriamo in Cile e facciamo una sosta a Cerro Castillo. Dopo il pranzo ci dirigiamo verso Puerto Natales per fare rifornimento di benzina prima di entrare nel Parco Nazionale delle Torri del Paine.

L’ambiente, dal punto di vista naturalistico, è perfetto. La pista fiancheggia diversi piccoli laghi dagli incredibili colori: verde, turchese ed azzurro. La sosta per la notte è in un accogliente albergo immerso nel verde sulla riva di un fiume dalle acque cristalline.

Il Parco Nazionale Torres del Paine, che occupa un’area più grande di duecentoquarantamila ettari è una delle aree protette nella regione delle Magellane e dell’Antartide Cilena. Il parco fu creato il 13 maggio del 1959. L’Unesco lo dichiarò riserva della biosfera il 28 aprile 1978.

Guanachi (camelide affine al lama diffuso in Sudamerica) nel Parco Nazionale delle Torri del Paine

Il parco presenta una grande varietà di ambienti naturali: montagne, tra le quali si staglia il complesso del Cerro Paine, la cui cima principale tocca i 3.050 metri, le Torri del Paine e i Corni del Paine; vallate, fiumi, laghi come il Grey, il Pehoé, il Nordenskjold e il Sarmiento; ghiacciai come il Grey, il Pingo, il Tyndall e il Geikie appartenenti al Campo de Hielo Patagonico Sur. La veduta delle torri lascia esterrefatti. I blocchi di pietra, che svettano tra le nuvole, hanno particolarità di avere le cime di colore scuro, in netto contrasto con le pareti chiare. Aggiriamo le torri seguendo la pista sterrata che si snoda tra lagune, campi, cavalli e guanachi al pascolo. Lasciamo questa meraviglia per ritornare a Puerto Natales.

Una splendida laguna nel Parco Nazionale delle Torri del Paine

La città affacciata su un grande golfo è l’immagine del relax. Solo il vento soffia forte e il vento del Sud da queste parti porta un gran freddo. Partiamo presto la mattina per Punta Arenas. La strada, un lungo rettilineo, attraversa pascoli sconfinati battuti dal vento. Solo gli animali sembrano non accorgersi del freddo pungente. Punta Arenas, che dista duecentocinquanta chilometri, viene raggiunta in poco più di tre ore. Prima di entrare in città, come da copione, finisce la gomma posteriore della Yamaha di Vittorio. La gomma, ormai sulle tele, viene sostituita da un brillantemente meccanico con una gomma usata, ma in ottimo stato.

Dobbiamo lasciare in fretta Punta Arenas per non correre il rischio di rimanere intrappolati dal blocco totale del traffico su gomma per uno sciopero indetto contro il rincaro spropositato del prezzo del gas da parte del governo.

Il faro in capo al mondo al largo di Ushuaia – Argentina

Per i primi centocinquanta chilometri la strada è completamente asfaltata. Superato il traghetto che ci porta da Primera Angostura alla Terra del Fuoco inizia il “ripio” vale a dire il solito sterrato di ghiaia. La pista polverosa ci accompagna fino alla frontiera, che viene superata senza nessuna difficoltà. In Argentina la strada costeggia un calmo ed azzurro Oceano Atlantico. Superata Rio Grande lasciamo la costa per le dolci colline ed i pascoli. Siamo vicini alla fine del continente americano. Rimane l’ultima salita, quella che porta a sfiorare le cime coperte di neve del Passo Garibaldi, poi una lunga discesa immersa in una foresta fittissima di alberi dal tronco bianco come pietra.

Appare il centro abitato di Ushuaia, l’ultimo di questo continente, la città più australe del mondo e la fine del mondo.

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