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La nostra Centopassi, la scoperta di luoghi impensabili

SENA CAMERA

Abbiamo provato a fare la Centopassi, la gara di endurance stradale probabilmente più impegnativa del panorama italiano di questa specialità. La nostra cronaca.

La Centopassi è una gara! La puoi fare in tanti modi diversi, ma una cosa è sicura: ti porterà dove non eri mai stato prima e dove non sapevi neanche di poter arrivare. Con la moto, con la testa, con il fisico, con lo stupore e la gioia, a volte con la paura e il serio timore di esserti infilato in un casino più grosso di te.

la nostra Centopassi: un raro momento di pausa su uno dei passi più belli: il Sella

Non è necessario fare cento-passi per aver fatto la tua gara: spesso, anzi quasi sempre, l’avversario è l’amico con le tue stesse possibilità di farcela o esperienza, la strada chiusa per una frana (e ce ne saranno, ve lo assicuro), molto più probabilmente la tua stessa prestazione precedente. Perché anche questo è sicuro, che appena l’avrete finita vi entrerà un tarlo nel cervello che dirà: < Cavolo, ma se avevo fatto quell’altro giro, se non era chiuso, se mi ero alzato mezz’ora prima, se avevo fatto quella cosa o quell’altra potevo fare meglio… >. Solo a quel punto potrete essere sicuri di essere entrati nel giro di schiaffi della Centopassi, e non ne uscirete più.

La gara di endurance stradale, nella quale cioè il partecipante è tenuto al rispetto delle regole del Codice stradale e permette così di percorrere le normali strade aperte alla circolazione più dura del panorama italiano impegna il concorrente per due mesi circa, oltre i quattro giorni di gara che si svolge solitamente durante il ponte del 2 giugno.

La parte più importante della competizione, come abbiamo potuto verificare in qualità di Moto-Ontheroad team partecipante alla Centopassi, è senz’altro la pianificazione: si tratta di selezionare cento Passi, selle o valichi di montagna da un elenco di oltre trecento e comunicarli, insieme al punto di start che si vuole, almeno venti giorni prima della partenza alla direzione gara, che vigilerà sul nostro percorso grazie a un transponder. Questa verificherà che i Passi vengano attraversati prima di raggiungere il luogo di arrivo, comunicato due mesi prima della partenza e comune a tutti i partecipanti.

la nostra Centopassi: l’arrivo a Gallio

La puoi fare in tanti modi diversi, dicevamo: prenderla come una scusa per fare una bella girata di quattro giorni privilegiando le belle strade, magari con il passeggero, fermandosi a mangiare un panino in cima a un Passo di montagna che non avevi mai fatto, rallentando ogni tanto per uno scatto fotografico e la sera riposarsi nell’albergo che avevate prenotato; al limite modificando un po’ il percorso per arrivare in tempo per la cena e dormire quelle sei-sette ore indispensabili per permettervi di guidare per i cinque-seicento chilometri del giorno successivo. In questo caso si potrà arrivare a circa metà dei cento Passi necessari per meritare il titolo di Centopassista, ma la competizione vera e propria sarà senz’altro un’altra cosa.

La prestazione, puntare a vincere la Centopassi, significa limare al massimo i limiti imposti dal regolamento, che impone un numero massimo di ore di guida di dodici per il primo e l’ultimo giorno, sedici per gli altri due. Questo significa alzarsi la mattina alle quattro, un’ora prima che cominci ad albeggiare, e guidare senza interruzioni fino alle nove di sera quando sarà obbligatorio arrestare la moto, pena la squalifica; limare i limiti di velocità sulle strade consentite dal regolamento, ovvero tutte ad eccezione di autostrade e strade a scorrimento veloce, e sembrerà incredibile con quanta rapidità un piccolo sbaglio di lettura del GPS possa portare su una bretella autostradale. Cercare di vincere significa partire dal punto migliore dove i Passi sono più raggruppati, per l’edizione 2017 nel meridione italiano e in Abruzzo, in modo da rientrare nel numero massimo di chilometri imposto di 2.450, quando l’arrivo era stato fissato a Gallio, sull’Altopiano di Asiago. In pratica, cercare di vincere la Centopassi significa pianificarla alla perfezione con le mappe su Google, Basecamp, Maps, Heart o anche con le semplici cartine stradali, cercare di sbagliare il meno possibile ed essere pronti a improvvisare, aggirare l’ostacolo o il Passo chiuso per una interruzione, vincere la stanchezza e lo sconforto.

la nostra Centopassi ci ha regalato panorami straordinari

Ma fare la Centopassi in generale e per ogni concorrente, sia che partecipi per vincere che per provare a partecipare, significa innanzitutto esplorare, scoprire, quasi per forza. Inutile provare a fare strade che già si conoscono: ci si scontrerà inevitabilmente con una lacunosità che neanche ci si immaginava di avere.

Conviene piuttosto pianificare sulla carta, sulle strade che possono sembrare più scorrevoli ma che inevitabilmente porteranno ad allungare il percorso; oppure affidarsi per quanto possibile allo streetview, anche se ovviamente non si potranno vedere oltre duemila chilometri di strade, e sempre che la macchinetta di Google non sia passata molto tempo prima, perché nel frattempo, cosa più che consueta sulle strade di montagna, potrebbe esserci stata una frana, che impone lunghissime deviazioni su percorsi che non si era neppure preso in considerazione, ma che spesso ci regaleranno delle scoperte incredibili e meravigliose.

In quel momento, un attimo prima di immergervi di nuovo a testa bassa nella vostra gara, quando sarete stati portati contro la vostra volontà ad ammirare uno degli spettacoli più belli che i vostri occhi abbiano mai avuto la fortuna di vedere – un panorama, un bosco, una strada che serpeggia sotto di voi sfidando lo strapiombo – di vincere la competizione non vi fregherà assolutamente nulla, ma ringrazierete il cielo di averci almeno provato, e di esservi indubbiamente persi in mezzo al nulla.

Va senz’altro detto che forzando i propri limiti psichici e fisici, la resistenza alla stanchezza e affrontando spessissimo stradine di montagna, poco trafficate è vero ma proprio per questo mancanti di manutenzione e quindi sporche, bucate, le probabilità di una distrazione, di una scivolata aumentano tantissimo, e quindi sosteniamo senza dubbio che la Centopassi rimane una gara molto impegnativa, che va affrontata col giusto grado di preparazione e la giusta consapevolezza. Ottimo sarebbe considerare l’ipotesi di un training di avvicinamento a questo tipo di gara, magari con giornate singole dedicate alla pianificazione di percorsi su Passi di montagna per capire quali possono essere le difficoltà che si potranno dover affrontare durante la gara vera e propria.

il Moto-Ontheroad team all’arrivo della Centopassi

La nostra Centopassi

Mettiamo subito in chiaro un paio di cose: come detto la Centopassi non è una gara da prendere alla leggera, in nessun caso; prende due mesi di tempo e ci vogliono tutti per una pianificazione adeguata, senza contare che chi la fa per vincerla spesso va a provarsi il percorso prima di partire.

Era da tempo che volevamo farla e quindi l’abbiamo presa sul serio, non “da giornalista” che in casi come questo vuol dire farsi un giretto, due foto e arrivare all’arrivo freschi e riposati; ma neanche speravamo in una prestazione eccezionale: per noi era una sorta di edizione “zero” per verificare cosa significasse immergersi totalmente nello spirito della competizione e vedere dove saremmo arrivati.

Detto questo, va da sé che non c’è un modo veloce e sbrigativo di raccontarla, e se vi interessa fate come noi: fate tesoro di ogni parola che ogni partecipante vi vorrà confidare perché non è facile farsi raccontare i loro segreti, dal momento che la Centopassi si basa tutto sull’esperienza e le capacità personali.

Raccontare una Centopassi, la nostra, mia e di mia moglie, non significa raccontarle tutte. Al contrario, ogni Centopassi è una storia a sé, un racconto, un romanzo fatto di strategia, avventura, emozioni, scoperte, strizze per una strada che diventa un incubo di strapiombo coi ciottoli, un inseguirsi di paesaggi che il cervello inutilmente cercherà di immagazzinare per conservarne il ricordo e meriterebbe quindi di essere raccontata, ascoltata, scritta. Raccontando la nostra, quindi, non racconteremo tutte le Centopassi, ma inviterà, probabilmente, a scrivere la vostra.

la nostra Centopassi, uno dei rari momenti di riposo

La mattina del primo aprile, quando apro la pagina FB della Centopassi, vado a svegliare entusiasta mia moglie: < L’arrivo sarà a Gallio!>

< E dove cavolo sarebbe?>

< Credo in su, sull’altopiano di Asiago. Bello! Ci facciamo il nord Italia partendo da Firenze e via tutto l’arco alpino. Figgata!>

Io e mia moglie parliamo così per davvero.

L’iniziale entusiasmo si spegne quando vado a verificare l’elenco dei Passi sul sito centopassi.net nell’area riservata agli iscritti, cosa che avevamo fatto a febbraio. Dall’elenco risulta evidentissima la mancanza di tutti quelli vicini a casa, quelli sui quali ho grandissima esperienza, che faccio sempre, tanto da farmi considerare che in una giornata me ne sarei potuti sparare una trentina almeno. La decisione di Matteo Vocino, patron della manifestazione di operare un taglio simile sembra sia dovuta al fatto che sui “miei” Passi si focalizzavano le preferenze di tanti veterani della manifestazione che trovavano in quest’area una concentrazione e differenza di altimetrie (elemento che aumenta il punteggio insieme al numero di Passi attraversati) tali che facevano diventare per chi aveva già fatto la gara, una cosa quasi “facile”. Non sia mai. Soprattutto adesso che ci siamo iscritti noi.

A questo punto la strada per una buona pianificazione è in salita.

la nostra Centopassi: sul Passo dei Mandrioli, decurtato dalla lista dei Passi

Decido di farmi aiutare dal mio amico Paolo, del quale ho già parlato, veterano e appassionato di percorsi, tracce, pianificazioni di itinerari.

In seguito, soprattutto all’arrivo a Gallio il 3 giugno, scoprirò che questa cosa del “ghost writer” è in realtà molto comune. Spesso chi gareggia fisicamente non usa solo la propria testa per farsi il percorso, sebbene spesso debba ricorrere a una sana improvvisazione.

Visto che tentare di vincere o almeno simulare una prestazione dignitosa significherebbe partire tipo da Matera, e che comunque rimango fondamentalmente un collaboratore praticante di una rivista, quindi pigro e scroccone per definizione, decidiamo un approccio soft. Privilegiamo nella pianificazione le strade belle, panoramiche, magari anche veloci e divertenti che non potranno mai portarci a fare cento Passi, al massimo una sessantina, ma che ci faranno divertire come pazzi e vedere dei posti in quattro giorni che non si vedono in quattro anni, senza la scusa di una cosa del genere.

Il piano era geniale: parto da casa, mi faccio un bel giro fra Toscana, Umbria e Romagna di un cinquecento chilometri, dormo la prima notte a casa bello sereno e la mattina del secondo giorno parto con la signora passeggera verso il nord Italia per una bella vacanza fra i Passi alpini più belli dell’universo conosciuto. L’unico problema è che i Passi alpini sono molto alti e quindi danno tanti punti altimetria, ma sono molto lontani fra loro e quindi non ne fai più di uno l’ora, benché si possa mantenere una velocità alta (e infatti arrivando ai nostri 49 Passi abbiamo fatto solo duecento chilometri in meno del vincitore) ma fai un sacco di strada e ne becchi pochi. Sugli Appennini fai meno chilometri, vai meno veloce ma fai molti più Passi. L’unica consolazione è che magari noi ci siamo divertiti molto di più, chissà.

la nostra Centopassi: il ponte di comando della moto di Franzini, il vincitore di quest’anno che ha fatto i cento!

Si capisce quasi subito che correre sarà perfettamente inutile, per diverse ragioni e se vogliamo i limiti del regolamento sono la meno preoccupante. Innanzitutto la sicurezza: faremo strade perlopiù sconosciute e in mezzo alla campagna, dietro ogni curva può esserci un trattore, dello sporco, una buca come quella che ha fatto letteralmente ribaltare in avanti il vincitore di quest’anno, Roberto Franzini, che si è presentato all’arrivo con una bella escoriazione a un braccio. In secondo luogo la resistenza fisica: non puoi pensare di fare quasi duemilacinquecento chilometri di corsa. Prima o poi fai una cavolata e ti giochi ben di peggio che una gara. La Centopassi non è una gara di velocità e questa potrebbe rivelarsi più una avversità che un vantaggio. Noi l’abbiamo fatta con una Multistrada 1200, una superbike col manubrio alto mentre il ragazzo che ci ha gabbato per un solo Passo l’ha fatta con un cancello di custom di ferro, vibrazioni e cromature da quattrocento chili. Un ragazzo che si è piazzato nei primi posti l’ha fatta con una Honda XR 600 perdendosi pure il terminale di scarico per le vibrazioni. Il mio eroe.

la nostra Centopassi: non c’è in realtà una moto più adatta di un’altra. Il pilota di questa Honda XR 600 si è classificato ai primi posti

Entro il 10 maggio comunichiamo alla direzione i Passi che abbiamo intenzione di attraversare o avvicinare a non meno di centocinquanta metri, in ordine sparso dal momento che, a differenza degli anni precedenti in cui andava descritto l’ordine esatto di percorrenza pena la decurtazione del passo attraversato dal punteggio, quest’anno non è necessario. Una facilitazione che fa da contraltare alla enorme difficoltà portata dalla eliminazione di un così gran numero di Passi. Per capirsi, in Toscana dagli ottanta iniziali ne sono rimasti una dozzina, in Val d’Aosta due, in Piemonte una decina. Il Piemonte è diventato più piatto del deserto dei tartari.

Nei due mesi precedenti la gara comincia ad affiancarci, mentre si fa la spesa, si guida la macchina, siamo sul gabinetto o si guarda la TV una presenza all’inizio eterea, quasi impalpabile, tipo un nanetto fantasma che poi, col passare del tempo diventerà sempre più solido tanto che due giorni prima del 31 maggio lo vedi, ci parli, potresti quasi toccarlo se tu non rischiassi di esser preso per matto da chi ti sta intorno. Ha, il nanetto, un modo di guardarti petulante, antipatico, insistente tanto che ti giri, lo guardi anche tu e gli fai cenno col capo “che minchia vuoi?!”

E’ il nanetto del pensiero della gara, che via via che ti avvicini ti ricorda cose del tipo < Ma sei sicuro che dopo esser passato da San Sepolcro a mezzogiorno (sai che cavolo di caldo?!) te riesci a fare quei due Passi nell’aretino, fai Bocca Seriola andata e ritorno e poi vai a prenderti Bocca Trabaria? Boh, se sei sicuro te…>

E allora vai a riaprire la cartina, riguardi i chilometraggi, consideri i tempi, la distanza e magari gli dai retta, al nanetto petulante e cambi il tuo programma.

< Ma hai provato se il tracker ti prende la carica come pensavi di fare te? E se non la piglia ce l’hai un booster ? E dove lo metti? >

< Hai provato quanto durano le pile del navigatore? Sei il solito pidocchio non potevi comprarne uno grosso, da moto invece che da trekking? >

Il mio navigatore alla fine farà splendidamente il suo lavoro, avendo cura di escludere tutte le mappe che non siano quelle stradali, anche perché vedermi tutti i sentieri di montagna intorno mi pare abbastanza inutile.

Una settimana prima della partenza viene spedito al concorrente un tracker, un aggeggino maledetto grande come una scatola di cerini che sarà il vostro peggior incubo finché non lo restituirete, finalmente, all’arrivo della gara.

Il tracker permetterà di verificare la vostra posizione in qualsiasi istante, velocità, altimetria. Va tenuto sempre in carica e anche questo sarà un pensiero costante, tanto che ogni poco va visto se il cablaggio dei cavi per mantenerlo funziona ancora. Luce rossa, tiene la carica. Il flusso canalizzatore sta flussando. Assillo inutile comunque perché ho provato che tiene la carica più di dodici ore, quindi sarebbe bastato caricarlo la sera e lasciarlo sulla moto durante il giorno, ma senza il segnale del tracker si è fuori dalla gara, quindi tutti gli sforzi sarebbero stati inutili. In più, il tracker è elettronico, non impermeabile e delicato, quindi non solo hai il cavetto fra le balle (nel mio caso letteralmente) ma devi fabbricare un profilattico con le buste del congelatore e il nastro americano in modo che la faccia del tracker sia rivolta in alto e il segnale vada in direzione del cielo. Sulle prime, il nastro era poco e il vento l’ha staccato, quindi ti fermi e lo rimetti, tanto che alla fine sembra la moto di Frankestein; poi si stacca il cavetto dall’apparecchio, sbusti tutto, smadonni, lo rimetti con una busta nuova. La sera lo togli, lo porti in camera, lo attacchi alla presa elettrica. La mattina ripeti l’operazione di imbustamento col sacchetto e col nastro. Poi si stacca il cavetto dalla presa della moto, non sai dove. Ti fermi, verifichi tutti gli attacchi, si riaccende la lucina rossa, puoi continuare la gara. Du palle. Quando lo riconsegni sei felicissimo.

la nostra Centopassi: il ponte di comando della nostra moto, a sinistra si intravede il tracker imbustato

Un concorrente simpaticissimo sulla propria Africa Twin 750 aveva fatto un cablaggio dalla batteria con il filo contenuto in un tubo di alluminio e una scatolina da alimenti ermetica in cima, tanto che sembrava avere sul posteriore della moto un periscopio. Era riuscito, diceva, a convincere un curioso che chiedeva informazioni sull’accrocchio che fosse uno strumento per la mappature stellari.

Intanto il nanetto è sempre lì, fino all’ultimo giorno quando con l’aria ancora più antipatica mi guarda col suo sorrisetto da deficiente e mi avvisa che < Guarda, coglione, che se passi dallo svincolo autostradale per scendere fino a Grassina prendi una penalità ancora prima di fare il primo Passo! Te e fare colazione a casa…>.

Finalmente arriva il giorno della partenza, ché tanto so che, come sempre, prima di ogni viaggio mi faccio mille seghe mentali e poi appena salgo in moto scompaiono tutti i problemi. Un’ora prima della partenza accendo il tracker e lascio la moto all’aperto, in posizione rilevabile dai satelliti, finisco di prepararmi e parto finalmente per questo giretto che mi vedrà fare circa cinquecento chilometri e conterò a sera quindici Passi, anche se in verità non ero sicuro di averli beccati tutti. Quelli bravi si prendono nota delle coordinate GPS e le verificano quando sono sul posto.

la nostra Centopassi: nei pressi del Montefeltro

Dalla domenica precedente la gara, durante la quale avevo vissuto la brutta avventura di aver squarciato la gomma posteriore per andare a vedere un Passo sterrato presso Chiusi delle Verna, mi sono ripromesso di non tornare più offroad con la Multistrada, quindi ho dovuto fare delle modifiche al percorso che avevamo concordato con Paolo e il taglio di quel Passo. Guadagnavo così un’ora di tempo e avevo ipotizzato una deviazione che me ne faceva prendere tre, sebbene molto lunga ma su strade (credevo) molto scorrevoli. Il piano era: se arrivo a San Sepolcro entro mezzogiorno ci provo, sennò continuo sul percorso, anche perché non conoscevo esattamente i tempi di percorrenza avendoli valutati a occhio sulla cartina.

la nostra Centopassi: le Crete, sotto Monte Fumaiolo

Altra precisazione: quelli bravi si fanno un piano dei tempi ipotizzando velocità di percorrenza di 42-45 km/h, cosa che Paolo mi aveva fatto, salvo poi stravolgere il percorso quando sono andato a farlo. Salendo il Viamaggio trovo un’auto dei Carabinieri, ex Forestale, che mi fa percorrere dodici chilometri alla velocità assurda di quaranta all’ora. Striscia continua anche nei tratti rettilinei con una visibilità ottima, non voglio rischiare il sorpasso. La Multi sta per sciogliersi, io entro in depressione avendo impiegato mezz’ora per fare un tratto che valutavo in cinque minuti. Sono convinto di non farcela ad allungare quanto volevo e quindi rinuncio alla deviazione verso Bocca Seriola, tagliando sul mio percorso originale. Scelta, questa, che si rivelerà tremendamente sbagliata e che mi porterà a casa per le 18, facendomi perdere tre ore di gara (e tre Passi). Un errore di valutazione dovuto all’inesperienza, e comunque non sarebbe cambiato molto, ma quando all’arrivo scopri a quanti concorrenti avresti potuto stare davanti in classifica finale con i Passi che non hai fatto per un errore o per l’altro ti girano la scatole.

la nostra Centopassi: uno degli ultimi del primo giorno, i Fangacci, sterrato.

Qualcuno degli altri concorrenti, mentre io sono sul divano di casa a guardarmi una serie televisiva, sta chiudendo il trentacinquesimo Passo!

Il secondo giorno partiamo presto, ma non prestissimo, insieme a mia moglie. Alle 6,20 siamo in viaggio e per le 10,30 abbiamo percorso i tre Passi superstiti dell’Appennino Tosco-Romagnolo e Romagna per attraversare la Pianura Padana e arrivare dopo quasi tre ore di stradine secondarie, caldo, semafori e una noia mortale ad Arzignano, nel vicentino, dove ricominciamo finalmente a salire.

Ci sembra di ricominciare a respirare dopo un’apnea, anche se quasi subito, dopo Recoaro, ci aspetta quello che avevamo temuto affrontando da subito la catena alpina, ovvero le condizioni del tempo a fine maggio, molto mutevoli. Affrontiamo il Passo di Xon e lo Xomo sotto una pioggerellina bastarda che ci accompagna fino al Trentino e al Pian delle Fugazze (decurtato dall’elenco). La discesa sulla splendida strada che ci porta a Rovereto ci ripaga ampiamente con uno dei panorami più belli che abbiamo visto in tanti anni di giri in moto, e che fa il paio con un altro dei tratti più belli della nostra gara, ovvero l’anello che da Brentonico passa da San Valentino e alla Bocca di Navene. Poesia.

la nostra Centopassi, la chiesa nella roccia prima di Rovereto

 

La nostra Centopassi, sopra Brentonico

Siamo carichi come sveglie, che bella vacanza che ci siamo regalati, ci ripromettiamo di tornarci con più calma ma scendiamo in direzione di Trento per prendere altri due Passi. Siamo a Trento verso le 18,30, circa dodici ore dopo la partenza e dobbiamo arrivare all’albergo a Nova Levante, sotto il Lavazè (decurtato) e dopo essere passati da Predazzo, il Passo Rolle, San Pellegrino, Moena e Passo Costalunga (decurtato). Fantascienza.

la nostra Centopassi: fra Trento e Pergine, scoperte di residui bellici per evitare l’autostrada

Noi siamo già ampiamente stanchi e sul Lavazè sembra si stia scatenando l’inferno di acqua e fulmini, decidiamo quindi di tagliare due Passi e puntare verso l’albergo. Poco prima del buio e che cominci a piovere seriamente andiamo a prenderci il Passo di Oclini, ma solo per scendere verso Bolzano sotto il diluvio universale.

Tuoni, fulmini che sembrano cadere a pochi metri da noi e che ci fanno saltare sulla sella, il buio dell’imbrunire e della pioggia, la paura dell’acquaplaning o di qualche animale che può uscire dal bosco spaventato dalla bufera, mi cago sotto aspettando di vedere il paese dove avevamo prenotato l’albergo. Anche questa, probabilmente, è stata una scelta sbagliata. Prenotare significa essere assolutamente certi che saremo in quel posto entro le 21, mentre così rischi di dover tagliare alcune parti.

La paura dei fulmini ci consiglia di spegnere tutti gli aggeggi elettronici che affollano moto e casco: interfoni, navigatore, telefono. Probabilmente una minchiata, ma eravamo veramente presi male.

Poco prima delle 21 arriviamo in albergo, rischiando la squalifica per orario dopo aver percorso seicentottanta chilometri, al sicuro con la moto in un garage e con le gambe sotto un tavolo, una bella pizza e un paio di birre. Due giorno dopo scoprirò che una squadra di amici piemontesi nello stesso momento stavano montando la tenda in mezzo a un prato.

La mattina del terzo giorno abbiamo capito cosa ci aspetta in termini di fatica e meraviglia, ma lo stesso rimaniamo a bocca aperta davanti allo spettacolo del Gardena, del Sella, del Pordoi, del Giau, miracolosamente sopravvissuti alla furia passicida del Vocino e vicini fra loro, a differenza di tutti gli altri che richiedono distanze e tempi di percorrenza lunghissimi. Il secondo e il terzo giorno sono quelli più lunghi, quelli che permetterebbero di fare più Passi e quelli più faticosi. Ci stupiamo di non aver ancora incrociato nessun altro concorrente a zonzo da quelle parti, dove si concentrano la maggior parte dei Passi superstiti ma solo nel tardo pomeriggio, dopo che da Canazei dobbiamo rimettere le tute antiacqua per l’ennesima volta a causa di una pioggerelllina bastarda, affianchiamo una coppia con gli adesivi della Centopassi. Come noi studiano la cartina, si fermano ogni tanto a valutare il percorso, se e dove potranno fare altra strada per beccarne un altro, forse due prima di buio. Loro, scopriremo, sono dei veterani della gara e hanno imparato a non prenotare gli alberghi, anche se la sosta del terzo giorno almeno l’abbiamo indovinata: a Comeglians, nel Friuli.

la nostra Centopassi: il Fedaia
la nostra Centopassi: discesa dalla Marmolada

Zuppi, stanchi e con un gran male al sedere ci ristoriamo con piatti tipici, programmando il percorso del giorno dopo che prevede, a pochissima distanza, almeno un paio di Passi: il Piz di Mede e il Monte Zoncolan.

Quarto giorno, l’ultimo e dell’arrivo a Gallio che in realtà è ancora a un duecento chilometri di strade di montagna di distanza ma che sembrano abbastanza scorrevoli. Noi abbiamo in realtà un sacco di piccole deviazioni, andate e ritorni dal Passo, allungamenti se in orario. Scopriremo che, secondo la più classica legge di Murphy, è sempre meglio programmare qualcosa meno e non contare su una fortuna che difficilmente ci potrà venire in aiuto.

Partiamo intorno alle 7,30. il Piz di Mede sembra proprio svettare sopra le nostre teste, lì pronto a farsi prendere. Una stradina tortuosissima, sporca e stretta, i cui tornanti si annodano sulla cresta più meravigliosamente e vertiginosamente panoramica che abbiamo mai visto ci porta in oltre mezz’ora (e noi pensavamo fosse una cosa da dieci minuti) in cima alla montagna, dove intravediamo nel parcheggio di una malga tre KTM maxienduro tassellate. Mmmmhhh… brutto segno! E infatti superato il Passo, la strada sempre a strapiombo sulla vallata diventa sterrata, a ciottoli grossi e, per la mia bruttissima esperienza della domenica precedente che mi aveva fatto promettere di non portare più la Multi fuoristrada, zeppa di sassi pronti a squarciarmi una gomma. Lassù. E dopo quattro giorni di gara. Fanculo. Giriamo la moto e ci sorbiamo un’altra mezz’ora di tornantini del cavolo per tornare indietro e salire finalmente al Monte Zoncolan.

la nostra Centopassi, Piz di Mede
la nostra Centopassi, sul Piz di Mede troviamo lo sterrato

Facciamo l’ennesimo pieno di benzina, c’è il sole e abbiamo entrambi le visiere scure, niente può andare male anche perché ci aspetta una bella strada larga, e sebbene siamo già in ritardo sulla tabella di marcia valutiamo di farci, prima delle 16,30 ovvero l’arrivo a Gallio almeno un’altra dozzina di Passi. Il problema, con questa gara, è che difficilmente riuscirai a fare quello che ti eri ripromesso.

Il Monte Zoncolan è stupendo, e la ripidissima discesa verso Ovaro, con le strettissime gallerie illuminate a neon che si accendono quando ci entri è incredibile. Incrociamo un’altra coppia di centopassisti, su Monster! Armati di una capiente borsa da serbatoio e una cartina neanche molto definita hanno preso la gara come una vacanza anche più di noi, fermandosi a mangiare a tavola a pranzo, facendo merenda alle cinque e non partendo mai prima delle nove. Trentacinque Passi.

la nostra Centopassi: le gallerie sul Monte Zoncolan scendendo verso Ovaro

 

la nostra Centopassi: monte Zoncolan

A Ovaro prendiamo per la Forcella Lavardet, ignorando il primo cartello di “Passo chiuso”. Impossibile, dai, avranno scordato il cartello, magari fino alla settimana scorsa c’era la neve, ma ora ci saranno venti gradi… Poco più avanti altro cartello del Passo: “aperto”. Vedi?! Si erano scordati l’altro. Solo dopo venti chilometri e davanti alle sbarre di metallo dei lavori in corso per frana dobbiamo rassegnarci e tornare indietro, di nuovo fino a Ovaro e con la coda fra le gambe. Stiamo facendo tardi e perdiamo tre passi in un colpo solo. Ci dirigiamo verso il Cadore costeggiando il fiume Tagliamento, prendiamo il Mauria, il Cibiana e il Duran ma dobbiamo rinunciare per motivi di orario al san Pellegrino e al Rolle che avevamo tagliato il secondo giorno: non ce la faremo mai, siamo stanchi, minaccia di piovere di nuovo, le strade di montagna sulla cartina sembrano corte e piatte, in realtà per fare venti chilometri ci metti almeno mezz’ora.

Tagliamo, prendiamo il Brocon, alle due ci fermiamo finalmente per un panino a Castello Tesino. Il piano era di passare da Pedavena e Bassano del Grappa per prendere gli ultimi due. Impossibile. Ricomincia a piovere e tagliamo verso Arsiè scendendo una strada incredibile che si inerpica per la montagna e Enego, sull’altopiano di Asiago. Pensavamo di farne una dozzina, ci dobbiamo accontentare di sei.

Se ci eravamo alzati prima tutte le mattine, se avevamo letto meglio il cartello del Lavardet (o chiesto indicazioni, cosa ci voleva a fermarsi un attimo?!), se non avevamo perso un’ora di tempo a cercare di prendere quella minchia di Forcella di Monte Rest che ancora ho il dubbio di averla segnata male sulla cartina; ma ancora, dal primo giorno: se non avevo trovato la pattuglia della Forestale che mi andava a trenta all’ora pe’ trova’ buio e avevo fatto la deviazione per l’aretino sarebbero stati altri tre, se non avevo prenotato a Nova Levante il secondo giorno non avremmo preso il megatemporale, avremmo potuto dormire verso Falcade, ne avremmo presi altri due; e poi, se fossimo partiti dal meridione dormendo una notte in più fuori, è vero, ma quanti avremmo potuto farne invece che quarantanove? Un’ottantina almeno, col nostro passo.

la nostra Centopassi: l’unico modo di forografare è mentre sei in marcia, ringraziamo il nostro Sena 10C

Lo sappiamo, volevamo provare, non sapevamo a cosa andavamo incontro, ci eravamo presi la vacanza; ma sono valutazioni che, immancabilmente, anche se come noi non siete tipi competitivi, a fine gara si fanno. Perché il ragazzo con venti anni di esperienza in moto meno di voi ne ha fatto uno in più, perché l’altra coppia ne ha fatti cinquantatre, perché si poteva fare meglio e, mettetela come volete, un po’ rode.

L’arrivo a Gallio è una festa bellissima. Non solo perché in poco più di un’oretta arrivano da tutte le direzioni moto e motociclisti che hanno vissuto un’avventura intensa almeno quanto la nostra, non solo per la sfilata tutti insieme fino al centro del paese di Gallio del quale alla fine della guerra del 15-18 era rimasta in piedi solo la chiesa, non solo per il colore, la gente che ci saluta come fossimo degli atleti alla fine di una gara. È perché ce l’abbiamo fatta, è finita, andata come è andata ci siamo impegnati, abbiamo faticato, fa un gran male il sedere, abbiamo preso il caldo, tanta acqua, tanta paura, abbiamo rischiato il frontale su una stradina del Monte Rest, abbiamo visto dei posti talmente stupendi, abbiamo portato la moto su strade che se non ci fossimo imbarcati in questa avventura, lo confessiamo, non avremmo mai visto.

Restituiamo il pacchetto di cerini con un certo sollievo a Matteo Vocino, che abbraccia tutti i “suoi” centopassisti, pronti per una panacea (birra+tonica, ndr), i racconti degli altri concorrenti, nuovi amici, nuove storie.

la nostra Centopassi: l’arrivo a Foza, vicino Gallio

 

Perché sicuramente la Centopassi è questo, scrivere la propria storia, la propria avventura. Noi ve ne abbiamo raccontata una, la nostra, neanche delle più interessanti.

Per qualcuno la Centopassi è stata una gara di lunghissimi trasferimenti, cadute, fatica, levatacce, percorrenze orarie e chilometriche devastanti, anche se è stata vinta da chi ha saputo ben programmarla.

Dopo la premiazione, i saluti, le foto di gruppo, i baci e gli abbracci, il ritorno a casa per la noiosissima autostrada che ci fa rimpiangere addirittura le stradine interne della Pianura Padana rimettiamo la Multi in garage.

Stacco la patacca della Centopassi dal cupolino, ché tanto a breve ce ne sarà sicuramente un’altra da mettere.

< Ilenia, ma te la rifaresti?>

< Sì, l’anno prossimo la facciamo per vincerla. Al momento però mi fa un gran male il culo!>

 

 

Il tempo per fermarsi a fare le foto, mentre fai la Centopassi, non ce l’hai. Ci hanno aiutato in questo i nostri dispositivi Sena 10C, dei quali trovate la prova sul giornale.

Per questa avventura abbiamo indossato caschi modulari

Scorpion ADX1

Caberg

Tute in Goretex Dainese

Stivali TCX

Le borse della nostra moto sono le rigide slim Mytech

le borse morbide agganciate sulle rigide sono KRY-O

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