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In viaggio con papà

Non si ha crescita senza sofferenza, ma è anche vero che non c’è sofferenza che non porti a una crescita.

Un viaggio in parte è sempre un’avventura, per di più se lo si affronta in moto.

Anzi, a volte è proprio quello che cerchiamo, il lato disagevole, quello avventuroso, il soffrire per raggiungere una meta è anche l’elemento stesso che ci rende memorabile quel viaggio: la scommessa iniziale con noi stessi e la nostra resistenza fisica e mentale, le difficoltà e gli imprevisti da superare che diventano il sale del viaggio.

La fatica fisica, un piccolissimo fastidio alla partenza che diventa un disagio reale col passare delle ore, il caldo, la polvere in fuoristrada, le continue e sfiancanti soste per l’amico che si ricorda a venti chilometri dall’ultimo rifornimento che doveva farla anche lui, o che cade, la guida che sbaglia strada, l’insetto nel casco…

E sono le esperienze condivise che uniscono, quel “ma ti ricordi..” da rammentare con un compagno di avventura che diventano pezzi di noi.

Una partenza, una méta da raggiungere, una scommessa da vincere, e tutto quel che c’è nel mezzo. Questo il mezzo che ho usato per stare un po’ con mio figlio maggiore, per trovare qualcosa che unisse solo noi due. Ovviamente c’è poco da fare: sono un motociclista. Se si parla di viaggio per quanto mi riguarda si parla di moto.

L’idea di portarmi dietro Axel mi è venuta due sere prima di partire, l’occasione era quella del Coast to Coast, una sorta di “classica” che facciamo tutti gli anni col mio gruppo di amici, i “Sommeliers d’Asfalto”.

La tappa di Monte Perrone

Il gruppo è una sorta di leggenda vivente informe e poliedrica, visitata per brevi periodi da decine e decine di motardari (nel senso di conduttori di motard stradali) che col tempo si è ridotta ad uno zoccolo durissimo di una ventina di appassionati. Molti si sono dati al fuoristrada, tanti altri alla pista, qualcuno alla bici. In una parola, sono rinsaviti. Conserviamo dei nick da ipocerebrati tipo “Pres”, “Fonzi”, “Whinny”, “Dagasse” e ci chiamiamo davvero fra di noi con quelli. Anche “Kiddo” viene da lì. Il concetto ispiratore del gruppo è sempre quello che caratterizza le supermotard stradali: minimo ingombro e minima spesa con la massima resa. Ovvero si viaggia superleggeri, si dorme in casa in campagna di un amico a Marotta dopo aver portato una boccettina di acqua di mare prelevata dal Tirreno a Follonica per versarla nell’Adriatico. Non crediate che possa esserci un qualche significato simbolico recondito importante, una sorta di rito di iniziazione o cose del genere. È una semplice cazzata, inventata dal sottoscritto per giustificare un bel fine settimana in moto con gli amici.

Una innocua “boccata”

Quando ho proposto l’idea in casa Axel è stato subito entusiasta ed eccitato, mia moglie assolutamente contraria, anche perché settecentocinquanta chilometri in compagnia di un branco di smanettoni non le sembrava la migliore iniziazione per un ragazzo di dodici anni che al massimo, in moto, era arrivato in centro a Firenze. Poi si sono invertiti i ruoli con mia moglie che cercava di convincere mio figlio della bellezza del viaggio in moto e lui sempre più titubante. Alla fine si è rimediata una tuta completa con le protezioni fra la roba archiviata in garage: un buon modulare, stivali, guanti, e siamo partiti da Firenze il venerdi sera in direzione di Follonica, prima tappa del nostro viaggio e start del CtC, per dormire in campeggio dai nonni.

Preferirei però a questo punto che fosse proprio Axel a raccontarvi la sua esperienza, perché il suo punto di vista sarà certo più interessante del mio, e vera causa ed essenza di questa narrazione.

Sulla strada per Gubbio

L’esperienza vista con gli occhi di Axel 

Ero ai giardini pubblici davanti alla scuola di Fiesole a festeggiare la fine dell’anno scolastico quando è arrivato il babbo in moto con la mia tuta legata dietro. Io non me l’aspettavo perché, nonostante fosse deciso che andavamo a fare un giro noi due e i suoi amici, non avevo capito se si partiva la sera o la mattina. Saremmo infatti dovuti partire dalla costa della Toscana per arrivare a quella delle Marche facendo così un “coast to coast”, anche se mio zio aveva scommesso dieci euro col babbo che non ce l’avrei fatta.

Tutti i miei amici mi guardavano incuriositi, e qualcuno mi chiedeva cosa stessi facendo, mentre io ero emozionato e non vedevo l’ora di partire perché fino ad ora in moto c’ero stato solo per andare dal dentista.

Dopo un’oretta dalla nostra partenza siamo passati vicini ad un campo di camomilla e siccome ero stanco per aver corso tutto il giorno l’odore non aiutava a tenermi sveglio, anche perché stava cominciando ad arrivare il buio. Ad un certo punto della notte, davanti la strada era illuminata dai fari, ma dietro non si vedeva niente e non era molto rassicurante anche perché eravamo completamente soli sulla strada.

Credevo che andare in moto come passeggero fosse molto semplice, ma mio babbo mi ha subito detto che ogni dieci minuti mi dovevo alzare in piedi sulle pedane e che mi avrebbe fatto dei segni con le mani quando stava per superare. Mio babbo mi ha anche insegnato come dovevo stare a sedere e come mi dovevo muovere con la moto quando facevamo le curve.

Verso le dieci e mezza siamo arrivati al campeggio a Follonica, dove ci aspettava mio nonno che purtroppo, data l’ora, non ha potuto farci la sua speciale pastasciutta col pomodorino fresco. Siccome io e il babbo abbiamo dormito nello stesso letto, la mattina dopo lui si è svegliato con una misteriosa unghiata sul naso, forse a causa della mia agitazione per il giorno dopo.

Foto di gruppo della truppa

La mattina dopo siamo partiti per trovarci con gli amici del babbo nel centro di Follonica, dopo esserci presentati stranamente mio babbo e i suoi amici non hanno parlato solo di moto, meno male perché io non me ne intendo e mi sarei annoiato.

Abbiamo raccolto l’acqua del Tirreno che avremmo poi riversato nell’Adriatico. Siamo partiti felici perché anche se era estate non faceva troppo caldo e avendo addosso la tuta da moto era una bella consolazione. Però ci siamo fermati a fare benzina subito dopo essere partiti e già si moriva di caldo: infatti, finché sei in moto stai fresco, ma se ti fermi ti sciogli!

Eravamo in dodici moto, tutte diverse, e viaggiare in così tanti può provocare problemi. Per esempio, se uno ha un problema ed è costretto a fermarsi gli altri potrebbero non accorgersene e continuare ad andare avanti. Infatti, mentre si viaggiava ho capito che essere ultimo può essere rischioso perché se ti fermi non hai nessuno dietro che può avvertire gli altri, come stava per succedere a Paolo di Pistoia vicino al monte Amiata quando stava per perdere un pezzo della moto che reggeva la targa e il faro. Ma per fortuna Greg di Lucca se n’è accorto in tempo.

Mentre arrivavamo al lago Trasimeno, pensavo che gli amici del babbo erano scherzosi e strani, ma non troppo. Quando siamo arrivati al lago però si è unito alla comitiva Whinnye, che sembrava avere il potere di tirar fuori da ognuno la parte più folle e infantile. Per esempio, quando siamo arrivati nelle vicinanze di Gubbio, abbiamo incontrato ai lati della strada le “signorine che aspettano l’autobus”, come le chiamava Paolino di Livorno; nessuno sembrava farci troppo caso, ma quando Whinnye si è messo a suonare il clacson, anche il Fonzi ha iniziato a mettere la freccia come se avesse voluto fermarsi quando ne vedeva una.

Il mitico Whinnye

Noi eravamo costretti a fermarci quando gli altri avevano bisogno di benzina, ma quando volevamo fare una sosta io e il babbo o vedere un paesaggio gli amici del babbo andavano avanti, anzi, dopo poco che ci eravamo fermati a mettere benzina, c’era sempre qualcuno che si accorgeva di averne bisogno anche lui e dovevamo aspettarlo.

Verso le cinque siamo arrivati finalmente all’Adriatico: ce l’avevamo fatta! Dopo aver versato l’acqua e fatto le foto siccome eravamo stanchi siamo andati a casa di Filippo: una casa in campagna veramente grande con tre appartamenti. Io non ero stanco ma avevo fame e molto caldo, ma mi sono divertito prima di andare a cena perché Whinnye e suo fratello Tigro hanno impiccato il casco di Paolo attaccandolo ad un argano.

Dopo esserci fatti la doccia siamo andati al ristorante, ma qualcuno non aveva voglia di rimontare in moto e si è fatto accompagnare, come il Tresca che era talmente stanco da sembrare uno degli zombie dei videogiochi.

Un po’ di off road non guasta mai

Dopo aver dormito benissimo siamo ripartiti di mattina presto e siamo andati a far colazione a Mondavio, una cittadina in campagna molto bella. Filippo (Dagasse) ci ha condotto in cima al monte Perrone da dove si vedeva un panorama fantastico, ed è altrettanto bella la strada per arrivarci. Scendendo dal monte abbiamo preso la strada sterrata nella quale, per colpa del caldo e della polvere, ha iniziato a prudermi il casco e non riuscivo più a tenerlo. Poco dopo, la strada è diventata asfaltata e un amico di Paolino ha boccato facendo finire la ruota anteriore sotto il guard rail. Mentre qualcuno lo aiutava e dopo esserci assicurati che stesse bene, io e il babbo siamo andati ad avvertire gli altri e ne abbiamo approfittato per riposarci all’ombra. Nel frattempo abbiamo deciso di tornare a casa anche perché eravamo stanchi e per essere stata la mia prima volta avevo già fatto abbastanza e Filippo non ci aveva detto che programmi aveva. Quando siamo ripartiti noi abbiamo salutato perché ce ne andavamo, mentre gli altri andavano sul Monte Nerone. Subito dopo che ci siamo separati dal gruppo, il babbo si è fermato. Io non mi spiegavo perché, ma un minuto dopo gli altri ci hanno raggiunti e io ho capito che il babbo l’aveva previsto.

Dirigendoci verso il Passo di Bocca Serriola siamo passati da Apecchio, dove mi è entrata un’ape nel casco. Ho subito pensato “meno male che non si chiama “Calabronecchio”! Ma ho anche capito che anche se è caldo il casco va tenuto chiuso.

Mi piacerebbe tornare in moto a fare un giro così lungo, magari la prossima volta passando anche dal Monte Nerone. E’ stato molto bello perché, oltre ad aver fatto un bel viaggio, ho capito come mai gli amici del babbo sono suoi amici.

Ah, zio, ora caccia i dieci euro!

 

 

 

 

 

 

 

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