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Mike Hailwood, un ricordo del più grande di sempre

Mike Hailwood Ducati 1979

Proprio in questi giorni, 39 anni fa, Mike Hailwood e la figlia morirono in un incidente stradale. Proviamo a ricordare il più grande di tutti i tempi.

Sì, lo so che è impossibile stilare una classifica che non tenga conto delle diverse epoche, lo so che Ago è quello che ha vinto più titoli di tutti (per ora), lo so che Valentino Rossi passerà alla storia per una incredibile carriera spalmata in un incredibilmente lungo arco di tempo, ma per me Mike Hailwood è e rimarrà sempre il più grande di tutti i tempi.

La vittoria al rientro dopo 11 anni di assenza

Non l’ho mai visto correre, la sua carriera motociclistica si interruppe che ero ancora un bambino alle prese con le rotelle della bici, e nel 1978, quando tornò a alle gare su due ruote dopo 11 anni di assenza (undici!) vincendo il Tourist Trophy potetti leggere della sua impresa solo sulle riviste specializzate. E chissà, nulla di più probabile che la mia passione per i bicilindrici desmo nacque proprio da lì.

Franz in adorazione della Ducati vincitrice al TT del 1978

 

Il bis l’anno successivo

E siccome ci prese gusto rivinse pure l’anno dopo, con una Suzuki RG a due tempi, moto sulla quale non aveva praticamente mai messo il culo sopra. Ma era uno versatile, abituato a cambiare e ad abituarsi in fretta a qualsiasi mezzo, i suoi nove titoli mondiali li ha vinti in un’epoca in cui i piloti correvano spesso in due classi, a volte addirittura anche in tre in un solo giorno. E lui nel 1967 al Dutch TT di Assen vinse in 250 (con quel capolavoro della meccanica che era la Honda RC166 a sei cilindri) , 350 e 500.

Mike Hailwood sulla Suzuki RG 500 (notare le alette) al TT del 1979 (foto da pinterest)

Un’impresa epica

Due anni prima, nel 1965, si trovò a dover far fronte a uno scomodo compagno di squadra alla MV, tale Agostini Giacomo da Lovere. Sull’Isola di Man quel giorno faceva freddo, con pioggia nevischio e nebbia sulla Montagna, A tre giri dalla fine, cioè a metà gara, Hailwood è in testa ma cade rovinosamente. Raddrizza a calci il manubrio, strappa i pezzi di plexiglass del cupolino, butta via la leva penzolante del freno posteriore, e riparte all’inseguimento di Ago, nel frattempo passato in testa. Ah, dicevamo: era metà gara e mancavano “solo” tre giri. Ognuno di oltre 60 km.
Sta per raggiungere Agostini quando la sua MV si ammutolisce. La sua di Ago, e Hailwood va a vincere una gara che gli abitanti del luogo ancora raccontano ai nipoti davanti al camino.
In infermeria gli troveranno quattro costole e due dita fratturate.

Mike Hailwood al TT 1965 con la moto danneggiata dalla caduta (foto da www.ttracepics.com)

 

Due buone letture

Raccontava Roberto Patrignani in un articolo che mi è rimasto impresso (cito a memoria): Arrivò a Bray Hill senza togliere il gas, la moto gli si scompose e scartò di lato sfiorando il muro, forse a causa della striscia di mezzeria scivolosa. Gli è andata di lusso – pensai – si è salvato per miracolo. Il giro successivo lo sentii di nuovo arrivare, l’urlo del quattro cilindri senza una minima incertezza, a gas pieno. Di nuovo le sospensioni a pacco, la moto imbizzarrita, e via a un centimetro dal muro! E fu così per ognuno dei sei giri.
Se il suo nome è stato legato per sempre a La Moto, un motivo ci sarà. Mike the Bike, il più grande di tutti.

 

Se in questo periodo di clausura forzata volete leggere qualcosa di interessante ecco qua la storia del ritorno alle corse di Mike Hailwood. E se con l’inglese avete difficoltà potete sempre riprendere in mano il grande classico di Patrignani. Buona lettura!

(la foto di copertina è presa dal sito Classic Motorbikes)

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