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A me, il giesse 1200, non mi garba!

di Kiddo

“Detesto ciò che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”.

Magari non importa scomodare Voltaire, ma forse questa citazione rispecchia il pensiero del direttore di Moto on the road, che mi consente di vedere pubblicata ogni mia esternazione senza mai ombra di censura, magari pur senza condividere in parte o in toto ciò che mi esce dalla tastiera. Come quello che sto per dire su una delle sue moto preferite. Perciò, sono pronto a distruggere una brillante carriera di imbratta fogli con il pezzo che ne metterà per sempre fine, quello dove spiegherò perché non mi piace la moto più venduta in Italia negli ultimi anni.

Sto parlando del Giesse, e se vogliamo di tutta la serie con motore boxer con trasmissione a cardano con funzione di sospensione e con sospensione anteriore collegata strettamente al motore stesso. Il Giesse: un’icona motociclistica del nostro tempo, alla quale ho visto fare cose sia su strada e incredibilmente fuori che voi umani non potreste neanche sognarvi. Uno status symbol, dove soprattutto in momenti di crisi economica sembra che i soldi siano ben spesi per un acquisto peraltro impegnativo, ma che ripaga in termini di valutazione dell’usato, anche per merito di una politica intelligente, lungimirante, fidelizzante, intransigente e scrupolosa come quella della Casa tedesca. Due ruote capaci di prestazioni e maneggevolezza impressionanti nella guida su strada, una poltrona per due nei lunghi viaggi, dalla guidabilità incredibile. Il Giesse consente anche a chi non ha un’approfondita conoscenza delle tecniche di guida di disimpegnarsi agevolmente nelle più disparate situazioni: motociclisti di ritorno, scooteristi, neofiti trovano subito un mezzo, anzi IL mezzo che li teletrasporta nel nostro mondo con due ruote e un motore. Un oggetto già al limite della perfezione nella sua prima uscita nel 1995, col motore 1100 ( non starò certo io a farvi la storia del Giesse, ne abbiamo davvero piene le scatole…), quando lasciò indietro di decenni dal punto di vista tecnico tutte le altre moto che stanno ancora rincorrendo un progetto diverso da ogni altra moto per come è costruito, pensato.

Qualsiasi altra moto, fondamentalmente, non è molto diversa tecnicamente da una bicicletta col motore attaccato dove volete; sul portapacchi, appeso al telaio, con funzione portante o inscatolato in una culla: avrà comunque delle sospensioni il cui comportamento provocherà dei trasferimenti di carico, variazioni nelle misure della geometria come interasse e avancorsa. Per conoscere, prevedere e “sentire” questi segnali che la moto trasmette, alla guida bisogna essere sempre attivi, è un continuo spingere sulle pedane, sul manubrio, stringere con le ginocchia, spostare in busto e il bacino. Sul Giesse tutto questo sembra non servire: bisogna imparare a fidarsi, lasciar correre la moto, perché tanto fa tutto da sola. Non ci sono variazioni significative nelle misure geometriche durante la guida: sulla sospensione anteriore, vincolata al motore che letteralmente E’ la moto, la funzione ammortizzante è svincolata da quella sterzante, mentre la sospensione posteriore ha addirittura funzione di trasmissione, formando in pratica un insieme perfetto. In sostanza, si può dire che il Giesse sia una sorta di SUV di lusso con due ruote, o per dirla come qualche detrattore, una mezza macchina.

Per questo, penso di poter affermare che –  secondo me – il Giesse non è una moto. Spingere coi piedi sulle pedane, controsterzare, spostare il busto, in pratica saper guidare una moto, saperne interpretare le reazioni, sentire i piccoli segnali che trasmette a chi la sa guidare, e che in questo modo migliora gradualmente e costantemente diventa superfluo. Basta dare freno e gas, perché tanto, al resto pensa tutto il Giesse. Non rimane che godersi la strada, il panorama e prendere andature di reale e totale rispetto per merito di una macchina perfetta e perfezionata ad ogni nuova edizione, che rende il mondo improvvisamente piccino e pronto ad essere percorso in lungo e largo, forse perdendo un po’ dello spirito di avventura che richiede qualsiasi altro mezzo meno performante ma decisamente più romantico.

A questo punto viene non solo naturale pensare come inevitabile che da anni sia il mezzo a due ruote e motore più venduto, ma anche chiedersi perché quello della motocicletta rimanga un mondo poliedrico fatto di infinite variazioni sul tema che vengono catalogate dagli amici giessisti come “non-Giesse”, senza distinzione di sorta. Il mezzo perfetto esiste ed è fra di noi, perché allora prendere in considerazione qualcos’altro? Fra chi guida quasi esclusivamente il Giesse da anni – e meraviglia non poco che fra essi ci siano anche motociclisti di provata e lunga esperienza – il ritorno anche casuale ad una qualsiasi altra moto provoca spesso reazioni di intolleranza a qualcosa (seppur provatamente eccellente) di “assolutamente inguidabile”, a loro giudizio, forse semplicemente perché si tratta di una moto, parente di quella bicicletta a motore.

I pregi e difetti di una rivoluzione così importante, alla quale nessuno obbliga ad aderire, ci mancherebbe, porta a molteplici differenze di vedute ed opinioni, come immagino possa essere avventuo, vedendo il primo Giesse 1100 rosso con la sella gialla nel lontano 1995 da fermo sulla pedana del salone di Colonia; solo che adesso possiamo ragionare di quella rivoluzione con la ragione dell’esperienza di come sia cambiato il nostro mondo, e di come le altre case abbiano rincorso in questi anni quell’evoluzione tecnica con elettroniche sempre più perfezionate.

Quella rivoluzione mi vide all’epoca assolutamente partecipe: esplorammo col nostro Giesse giallo Kalahary buona parte d’Europa nel periodo precedente al divenire genitori, e solo dopo anni di motorette racing da babbo in libera uscita siamo tornati per un tempo brevissimo ad un Giesse 1200. Andammo a Coriano per un saluto alla famiglia Simoncelli, come raccontato su queste pagine poco tempo fa, e percorremmo in una giornata una bella quantità di strade fra Toscana e Romagna, godendo di una fluidità, godibilità e piacere di guida pressoché perfetti, con un mezzo capace di digerire asfalti anche pessimi come fossero appena stesi. Si tornò a casa dopo una giornata sul nostro Giesse più riposati di quando eravamo partiti.

Fu solo al momento di rimetterla in garage che mi salì in testa un pensiero: “cazzo, ma io ora ho voglia di andare in moto!”.

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