Affari di famiglia

di Kiddo

giudicare da come stanno cercando di parcheggiare quel Kawa KLE 500, i due tizi fermi davanti alla chiesa di san Domenico di Fiesole non sembra che abbiano molta esperienza in fatto di motociclette, e infatti tre due uno, il Kawa decide di partire seguendo l’ordine superiore della forza di gravità scendendo piano piano dal cavalletto per andare a farsi un giro in direzione della Torraccia, molto probabilmente col solo risultato di rovinare pesantemente in terra.

Ancora col casco in testa i due che sembrano, a giudicare dall’età e dalla fisionomia babbo e figliolo, tengono disperatamente la moto il primo senza trovare immediatamente il freno davanti, il secondo dal portapacchi posteriore.

“Tirala un po’ indietro, forse non va parcheggiata in discesa” deduce il più anziano. “Si, ma te lascia il freno sennò non posso tirarla” lo rassicura il secondo.

Io che ero lì per caso, e che non posso farmi gli affari miei se vedo che viene messa in pericolo l’incolumità di una povera endurona, soprattutto se ha fatto la storia del motociclismo, decido di dar loro una mano: strappo di mano il manubrio al babbo, “lasci pure, vi do una mano” lo intimorisco mentre mi guarda con gli occhi da cerbiatto. Metto la moto controsterzo e appoggiandomela al fianco la porto dove spiana la strada.

“Forse dovreste parcheggiarla in leggera salita, e che penda verso il cavalletto”, suggerisco io. “Eehh, si vede che il signore ha esperienza, noi l’abbiamo appena presa…”

Adoro gli esplosivi binomi padre-figlio. Di solito il ragazzo scassa i maroni in casa per un’eternità perché vuole la moto, ipotesi aborrita dalle madri, vagamente assecondata dai padri che hanno avuto un passato da motociclisti, ovvero sono stati una volta in vacanza all’Elba dietro ad un amico sulla Vespa, orgogliosi delle fregole del progenio che dimostra invero tutta la mascolinità derivata dalla genetica familiare. “Certo non da parte tua, con tuo fratello che convive con quel suo amico Franco da venticinque anni”.

Il pupone, da quando sei anni fa aveva quattordici anni appiccia sulle pareti della cameretta una serie infinita di posters a tema motociclistico, che vanno dal sorpasso di Valentino su Stoner a Laguna Seca alle ombrelline del paginone di PromoNews fatte con la fotocamera attaccata ad un’asta per fotografare le minigonne da sotto. Sognerebbe disperatamente la Streetfighter Ducati, andrebbe bene anche una Suzuki GS 500; il babbo aveva un amico che svendeva il Kawa, e ha suggerito di prendere quella “a mezzo” perché così qualche volta poteva usarla anche lui.

“Magari ci porto la tu mamma a Viareggio”, fantasticava il genitore. “Ma nemmeno pagata, ci monto su quell’affare” rispondeva a tono la genitrice.

Con ogni probabilità, il babbo potrà godere raramente dell’acquisto, anche se diventerà uno di quei “motociclisti di ritorno” che tanto fanno gola alle Case motociclistiche mentre il ragazzo, benché il modello non sia esattamente quello che voleva, neanche come genere, farà buon viso a cattivo gioco: la userà tutti i giorni fino allo sfinimento per andare all’università, la magheggerà con gomme troppo stradali, frecce a led, specchietti in similcarbonio, la amerà perdutamente come una compagna di vita, come il primo amore, quella che gli ha fatto scoprire le gioie della motocicletta e dell’infinito senso di libertà che regala.

Nonostante l’impressione iniziale di trovarmi davanti due rincoglioniti, sicuramente incapaci di gestire una moto per il momento, l’unica certezza che ho è che sono due persone che la moto renderà davvero felici.

Finisco il mio giro a piedi e ripasso davanti ai due: sono riusciti a parcheggiare la moto nel modo giusto dall’altra parte della strada. E ora che faccio, glielo dico di non lasciare le luci di posizione accese? Naaa.. seconda lezione: se la chiave del bloccasterzo ha due scatti…  

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